“One day the sadness will end”, promette la Signora Ceppo, uno dei mille personaggi straordinari inventati da David Lynch e divenuti rapidamente icona pop. Siamo nella terza puntata della prima stagione di Twin Peaks, lo show che nel 1990 sconvolse il mondo e rivoluzionò la televisione. Quella frase, una delle tante perle della Log Lady, ci è tornata in mente ieri sera. E c’è da sperare che davvero che sia così, che abbia ragione la Signora Ceppo – che un giorno tutta la tristezza finirà.
Oggi che Lynch è morto, piangiamo l’uomo (che abbiamo adorato nei decenni nelle sue infinite eccentricità ed idiosincrasie). Ma continuiamo a celebrare l’immortale eredità di un genio visionario, un autore totale, uno spirito autenticamente libero. Capace di lasciare un segno profondo nel nostro immaginario, nel cinema, in televisione, in pittura, persino nella musica. Basta ricordare alcuni titoli di film: dal debutto impossibile con Eraserhead, nel lontano 1977, segnando gli anni ‘80 e ‘90 con titoli come Elephant Man, Velluto blu, Cuore selvaggio, Lost Highway, fino a spingersi nel nuovo millennio con quello che è forse il suo capolavoro, Mulholland Drive (2001). E una creatività debordante, passata attraverso cortometraggi, animazioni surreali e angoscianti, sitcom, partiture musicali e persino operistiche, fotografia e pittura.
Ma poi, ad attestare quanto lo si amasse, e quanto è stato importante per diverse generazioni di spettatori, di autori, di appassionati, è sufficiente vedere cos’è successo alla notizia della sua morte. All’interno della nostra redazione, qui a Mondoserie. Nei tanti messaggi ricevuti da amici e conoscenti. Nel fiorire di ricordi, immagini, omaggi in tutto il web. Ci siamo scoperti o riscoperti, in tantissimi, suoi figli – orfani, in questo tempo inquieto, del suo sguardo onirico e insieme lucidissimo.
Pronti ancora a tuffarci nel mistero, vera chiave della sua poetica. Un mistero senza fine.
Come David Lynch inventò la televisione moderna
Per noi che amiamo e indaghiamo i meccanismi della serialità, è impossibile dimenticare che David Lynch fu il primo regista di cinema importante e celebrato a decidere di sperimentare con la dimensione lunga del racconto televisivo. Il regista americano era già un veterano della settima arte: autore di un debutto sperimentale clamoroso con Eraserhead (1977), subito confermato dal sorprendente successo di Elephant Man (1980). Il doloroso flop di Dune (1984), primo e ultimo suo film ad alto budget, non gli impedirà di firmare due anni dopo, nel 1986, con Velluto blu, una delle pellicole più importanti del decennio.
Nella storia del piccolo schermo c’è un prima e un dopo Twin Peaks. E se si vuole capire in profondità il fenomeno della serialità televisiva bisogna giocoforza passare da qui. Da quella storia che inizia con il ritrovamento di un cadavere, quello di Laura Palmer, reginetta del liceo dalla doppia vita; e con l’arrivo di un eccentrico agente dell’FBI, Dale Cooper, nell’apparentemente quieta cittadina di Twin Peaks. Non è uno sforzo da studiosi né da esploratori: è un piacere che si rinnova ad ogni visione (oggi in Italia trovate la serie completa su Paramount+).
Twin Peaks è il punto d’origine della tv d’autore, quella in cui lo spettatore è necessariamente coinvolto nella costruzione del significato. È la madre di X-Files, e poi I Soprano, Lost, Fringe, Mad Men, Breaking Bad, The Leftovers, fino a serie recentissime o ancora in corso come Black Mirror, Mr. Robot, True Detective, Dark: l’elenco potrebbe continuare. Di colpo, la televisione poteva investigare il lato oscuro della grande materia Americana, come solo al cinema era stato prima concesso. L’inquietudine entrava nel piccolo schermo: e quindi, nelle case, nello spazio privato di ogni famiglia.
Nel segno del mistero: da Velluto Blu a Twin Peaks
Sometimes a wind blows
And you and I
Float
In love
And kiss
Forever
In a darkness
A volte un vento soffia / e tu ed io / fluttuiamo / nell’amore / e ci baciamo / per sempre / in un’oscurità.
I versi di Mysteries of Love, canzone-manifesto con cui nel 1986 inizia la collaborazione tra David Lynch (anche paroliere), Angelo Badalamenti (compositore) e Julee Cruise (voce), sono eterei come il pezzo. Eppure rivelatori. Siamo in Blue Velvet (Velluto Blu, 1986), film che consacra Lynch come uno degli autori più importanti della sua generazione.
E che di Twin Peaks è quasi un antesignano, mettendo in campo elementi che, quattro anni dopo, saranno al centro della serie: il protagonista, Kyle MacLachlan; l’ambientazione in una cittadina di provincia quieta in apparenza ma agitata, sotto la superficie patinata, da pulsioni e tensioni oscure; l’indagine atipica su un atto di violenza che scuote la tranquillità di ogni giorno; un mistero; e sopra tutto le stelle polari del bizzarro, dell’inquietudine, del perturbante.
La canzone si conclude così:
Sometimes a wind blows
And the mysteries of love
Come clear.
A volte un vento soffia, e i misteri dell’amore si chiariscono. Quando accade che il mistero si sveli, sembra suggerirci Lynch, è per ragioni quasi naturali. Ma più spesso il mistero resta come deve essere: inspiegato, insoluto. Racchiuso in una dimensione di sacralità che genera al contempo inquietudine e piacere, paura e desiderio: che ci sia qualcosa di ignoto, e che da questo ignoto possa scaturire una minaccia, e che questa minaccia metta in crisi la quiete apparente della nostra vita, è insieme spaventoso e bellissimo.
È una delle cifre stilistiche dell’universo creativo di David Lynch, e uno degli elementi più evidenti della poetica del visionario regista, autore, pittore, scultore, musicista americano.
David Lynch e l’equivoco della soluzione
35 anni fa Twin Peaks si presentò come una detective story, cioè l’indagine su un delitto che ci si aspetta venga risolto; televisiva, quindi – ci si immagina – inevitabilmente rassicurante; in forma di soap opera, tipologia associata più alla leggerezza dell’intrattenimento che a innovazioni o complessità. Per rovesciare, immediatamente, stereotipi e attese. Tra i motivi per cui Twin Peaks si impose come un fenomeno globale, e generò uno shock per il pubblico, c’era infatti l’audacia con cui sovvertiva i meccanismi del più codificato dei generi televisivi: il giallo.
Al centro del plot c’è un’indagine, quella dell’agente dell’FBI Dale Cooper (Kyle MacLachlan) attorno all’omicidio della giovane bellezza locale Laura Palmer (Sheryl Lee), nell’eponima cittadina immaginaria. Ma fin da subito la serie mette in crisi le rassicuranti certezze del canone investigativo.
Perché se lo spazio del mistero è sacro, inviolabile, come Lynch fece intendere dentro la propria opera e, fuori di essa, in innumerevoli interviste, allora deve essere sottratto alla logica consumistica della “soluzione”. “C’era spazio per tantissimi altri misteri. Ma quel mistero [la morte di Laura Palmer] era sacro, teneva in piedi tutti gli altri. Era l’albero e gli altri erano i rami” (Lynch in A Slice of Lynch, dietro le quinte del 2007 incluso come contenuto speciale nelle edizioni della serie in DVD e Blu-ray).
David Lynch e il co-autore Mark Frost non avrebbero mai voluto risolvere il giallo whodunit della serie originale, per portare piuttosto lo spettatore a perdersi in una foresta di misteri sempre più fitta. Ma finirono per soccombere alla produzione, che impose lo svelamento del killer a un terzo della seconda stagione. Facendo così collassare il senso stesso di un’opera pensata per essere aperta.
Il fuoco della vendetta e il ritorno a Twin Peaks
Una prima riparazione, quasi una vendetta, arriverà un anno dopo la fine dello show, nel 1992, con Fire Walk With Me: film successivo alla serie ma narrativamente un prequel. Ma ci vorrà un altro quarto di secolo, con la sublime ripresa della serie originale nel 2017, perché le cose possano essere rimesse a posto. Seppur nel modo rovesciato del visionario regista americano: la detective story dissolta, il giallo stesso rimosso dall’equazione, il mistero ripristinato nella sua gloria intangibile.
La prima scena di Fire Walk With Me è emblematica: uno schermo televisivo viene violentemente fatto a pezzi. L’ultima scena della cronologia narrativa “palmeriana” è nei titoli di coda della puntata finale di Twin Peaks: The Return (2017): Laura, oscuramente, sussurra qualcosa all’orecchio dell’agente Cooper, che lo spettatore non può udire e quindi non può comprendere.
Attorno a questi due gesti – la rivolta contro i meccanismi produttivi omologanti della tv dell’epoca; la riaffermazione del mistero come qualcosa di sacro e intangibile – si articola l’intero percorso che David Lynch costruisce nell’universo Twin Peaks. Tra queste due scene – e nei 25 anni che le separano – c’è il senso del viaggio quasi riparatore che l’autore compie per risanare la propria creatura mutilata. Come ci sono altri tasselli della sua straordinaria esplorazione del mistero come buco nero di irresistibile attrazione: Lost Highway (1997), Mulholland Drive (2001), e Inland Empire (2006), che 30 anni dopo riporta l’autore alle sperimentazioni di Eraserhead.
“One day my log will have something to say about this”, un giorno il mio ceppo avrà qualcosa da dire su tutto questo, promette l’iconica Signora Ceppo all’agente Cooper nella seconda puntata della prima stagione della serie.
Nell’attesa, continuiamo a scrutare nell’oscurità – quel luogo che David Lynch amava, quel luogo dove tutto è ancora e sempre possibile.
ESPLORA IL NOSTRO SPECIALE DAVID LYNCH
Nello speciale che MONDOSERIE dedica a David Lynch e Twin Peaks troverete tante cose. Illustrazioni, puntate dedicate del nostro podcast (una sullo show originale, una sul concerto di libertà creativa in Lynch e Twin Peaks) e ovviamente articoli e saggi.
Che cercheranno di gettare nuova luce, o aprire prospettive originali, su questa serie leggendaria e sul suo autore. Indagando per esempio la sua fecondissima eredità nell’evoluzione della complex tv del nostro tempo; le ragioni della sua originalità rivoluzionaria, attraverso l’analisi di 4 episodi chiave; il tema della nostalgia in Twin Peaks: the Return. O ancora, la poetica del rock e come si intreccia all’immaginario lynchiano e in particolare della terza stagione. E la musica ispirata o derivata da Twin Peaks e che però non conosciamo.
E poi naturalmente i due grandi temi impliciti dello show, e che però al contempo rappresentano altrettante gigantesche rivoluzioni: il collasso del genere investigativo e la trasformazione del ruolo dello spettatore.
Perché se fin da subito la serie mette in crisi le rassicuranti certezze del canone investigativo, altrettanto fa con il ruolo del pubblico. Lo spettatore, sottratto alla propria abituale passività, viene chiamato a partecipare attivamente alla costruzione di un mondo complesso. Gli si chiede di prestare attenzione agli indizi, di contribuire alla ricerca di senso, di farsi egli stesso detective. Il fandom con il suo ruolo decisivo, come lo conosciamo e studiamo oggi, nasce qui. Per poi radicalizzarsi, e sedimentare, in un’altra grande serie di 15 anni dopo, e che molto deve a Twin Peaks: e cioè Lost. A cui qui abbiamo dedicato un grande approfondimento, nel suo ventennale.