C’è un curioso punto di contatto tra l’Iliade ed Esterno notte. O, se si vuole, tra la prima grande opera del canone letterario occidentale e il rapimento di Aldo Moro, che la miniserie / film di Marco Bellocchio del 2022 racconta. È il tempo narrativo in cui entrambe le vicende si svolgono. 51 giorni per l’epica omerica, con la geniale intuizione di sintetizzare i dieci anni di guerra in meno di due mesi, un frammento temporale che come sappiamo non racconta neppure la conclusione della storia (la morte preconizzata dell’eroe, così come la conquista della città, si collocano dopo la fine dell’opera). E 55 giorni per il rapimento di Moro. Direte: ma che c’entra? Portate pazienza: ci torneremo prima di chiudere.
Per cominciare: parliamo di un’opera che va vista, senza esitazioni. 6 ore di eccellente televisione (o di grande cinema, come vedremo la distinzione qui sfuma). Peraltro oggi facilmente rinvenibile, essendo in Italia sia su Netflix che sulla piattaforma gratuita RaiPlay. Firmata da uno degli autori di punta del nostro cinema, appunto Marco Bellocchio – che, curiosamente, torna sul luogo del delitto quasi vent’anni dopo lo splendido film che aveva dedicato alla prigionia di Moro (Buongiorno, notte – 2003).
E non fatevi spaventare, per favore, dalla dimensione storica, politica, “italiana”. Non solo perché il clamoroso rapimento, la sofferta prigionia, il drammatico “processo” e l’ancora più sconvolgente uccisione dell’allora leader della Democrazia Cristiana (e già più volte Presidente del Consiglio) da parte delle Brigate Rosse, nel 1978, restano una delle più potenti e terribili vicende della storia politica novecentesca, e non solo per il nostro Paese.
Ma anche e soprattutto perché con Esterno notte Bellocchio compone un’opera vibrante, stratificata e ambiziosissima. Che racconta il caso con una pluralità di prospettive, in una riuscitissima logica corale. Rigorosa quanto creativa. E, insieme, paradossalmente mitica.
Il film / serie di un grande maestro
Esterno notte, produzione italo-francese del 2022, è stata concepita come miniserie, con 6 episodi di circa un’ora ciascuno (disponibili come detto su Netflix e RaiPlay). Tuttavia, prima di approdare sulle piattaforme digitali, l’opera è stata distribuita nelle sale come un film in due parti. Sviluppando così una sorta di duplice identità: cinematografica e seriale. Che si riflette non solo nella anomala doppia modalità distributiva, ma anche nella natura del prodotto. Cosa più unica che rara, questa sorta di “doppia genesi” non ne inficia né la fruibilità né la profondità. Anzi. Esterno notte ha, in un certo senso, il meglio dei due medium. La potenza espressiva del cinema; la dilatazione temporale – e la conseguente possibilità di ampliamento della coralità del racconto – del piccolo schermo.
Marco Bellocchio (I pugni in tasca, Sbatti il mostro in prima pagina, L’ora di religione), regista e sceneggiatore, si conferma uno dei veri grandi maestri del cinema italiano, capace di affrontare temi complessissimi con una sensibilità umanistica unica. Fabrizio Gifuni offre una performance straordinaria nei panni di Aldo Moro, dando vita a un ritratto che fonde introspezione e mimetismo. Il resto del cast vede Margherita Buy come Eleonora Moro, Toni Servillo nei panni di Papa Paolo VI, il sorprendente Fausto Russo Alesi come Francesco Cossiga. Daniela Marra e Gabriel Montesi interpretano i brigatisti Faranda e Morucci.
La miniserie è stata accolta con giusto entusiasmo, ed elogiata universalmente. In primis per la sua complessità narrativa e l’approccio visivo, capace di riflettere l’intensità emotiva della vicenda. Grazie alla doppia distribuzione in streaming il progetto ha raggiunto una vasta platea: un unicum autoriale nella produzione seriale italiana. Avvicinabile solo (pur da prospettive completamente diverse) al grandioso esperimento di Sorrentino con le sue The Young Pope e The New Pope.
Trama e struttura polifonica di Esterno notte
Esterno notte si distingue per una narrazione frammentata, organizzata in sei episodi, ognuno dedicato a un punto di vista specifico. Questa scelta regala alla storia una profondità eccezionale, permettendo al pubblico di esplorare i vari volti della tragedia. E di entrare nella vicenda da punti di vista differenti, complementari, persino antagonistici. Cosa rara, e però qui davvero indispensabile per ricostruire una storia che – muovendosi sotto i riflettori della Storia – è per definizione tanto complessa quanto corale.
L’episodio iniziale presenta Aldo Moro nel suo ruolo di statista, intento a tessere il compromesso storico tra Democrazia Cristiana e Partito Comunista, un’operazione politica senza precedenti nel contesto occidentale della Guerra Fredda. In questo scenario matura il suo drammatico rapimento da parte delle Brigate Rosse. La narrazione nel secondo episodio si sposta sul governo italiano, con particolare attenzione alla figura di Francesco Cossiga. Allora ministro dell’Interno – e quindi responsabile della sicurezza del Paese e delle sue forze di Polizia. Cossiga viene ritratto nel pieno delle sue tensioni e contraddizioni morali, acuite dalla difficilissima gestione di una crisi senza precedenti.
Il terzo episodio, dedicato a Papa Paolo VI, mostra il tentativo disperato del pontefice di salvare l’amico Moro attraverso una mediazione, riflettendo i dilemmi etici e politici della Chiesa. Nella quarta puntata di Esterno notte, la prospettiva si sposta sui brigatisti, esplorandone l’ideologia e le divisioni interne, offrendo un ritratto profondamente umano degli spietati esecutori del rapimento. Il penultimo episodio è incentrato sulla moglie Eleonora Moro e la famiglia, vittime collaterali di un dramma che travolge le loro vite. L’ultima puntata, infine, chiude con il tragico epilogo del caso, segnato dalla morte di Moro e dalle ripercussioni storiche e politiche di questa pagina nera della storia italiana.
Aldo Moro: l’uomo, il politico, il simbolo
Aldo Moro è una delle figure emblematiche della storia politica italiana del secondo dopoguerra. Nato nel 1916, divenne uno dei leader più influenti della Democrazia Cristiana che aveva contribuito a fondare. Fu sei volte ministro, e per ben cinque volte ricoprì la carica di Presidente del Consiglio. Moro fu l’artefice principale del “compromesso storico”, un’alleanza strategica tra la DC e il Partito Comunista Italiano negli anni ’70. Una manovra inedita e ardita, che rappresentava un tentativo di stabilizzare il Paese, in un periodo segnato da tensioni sociali, crisi economiche e terrorismo politico.
Il suo rapimento, avvenuto il 16 marzo 1978, e la sua uccisione dopo 55 giorni di prigionia, non segnarono solo la fine di un uomo, ma rappresentarono un colpo devastante alla stabilità del sistema politico italiano. Durante la prigionia, Moro scrisse lettere toccanti e disperate, che evidenziavano la sua angoscia personale e la sua delusione verso i vertici dello Stato e del suo stesso partito, incapaci – o forse non desiderosi – di trovare una soluzione. Assumendo persino un tono profetico, profondamente tragico: “Il mio sangue ricadrà su di loro”, una delle frasi più potenti dell’epistolario dalla cattività, diventerà anche il titolo del libro che ha raccolto nel 1997 gli scritti del leader dal carcere brigatista.
Bellocchio, in Esterno notte, ritrae Moro in questa bella e necessaria complessità. Non solo come politico, ma come uomo: un marito amorevole, un pensatore sofisticato, ma anche una figura tragicamente isolata. La miniserie restituisce la ricchezza del suo carattere, sottolineandone l’integrità morale e la visione politica. Ma anche le contraddizioni e i limiti di un uomo consapevole delle proprie fragilità.
Le Brigate Rosse: il più potente fenomeno terroristico europeo
Le Brigate Rosse (BR) sono state il più potente, numeroso, letale e longevo gruppo terroristico di sinistra del secondo dopoguerra in Europa occidentale. Furono attive nella tragica stagione dell’Italia tra gli anni Settanta e Ottanta, decenni caratterizzati da conflitti sociali e violenze politiche. Il movimento brigatista nasceva con l’obiettivo dichiarato di sovvertire l’ordine capitalistico, avviando una rivoluzione comunista che avrebbe rovesciato le istituzioni democratiche italiane, viste come emanazione del sistema borghese.
Ideologicamente, le BR si ispiravano al marxismo-leninismo e all’idea di “lotta armata” come strumento per combattere l’oppressione. Il loro simbolo, la stella a cinque punte, richiamava la guerriglia rivoluzionaria internazionale. Le azioni delle BR furono mirate prevalentemente contro politici, dirigenti industriali, magistrati, giornalisti, dirigenti sindacali: simboli, secondo loro, del sistema capitalistico da abbattere. Si resero responsabili di sequestri, attentati, sabotaggi e omicidi.
Il rapimento e l’uccisione del presidente della Democrazia Cristiana, Aldo Moro, nel 1978, rappresentarono il culmine della loro strategia del terrore. Il sequestro, durato 55 giorni, si concluse tragicamente con l’assassinio del politico, il cui corpo fu ritrovato in una Renault 4 nel centro di Roma. Al contempo, l’assassinio segnò anche, da molti punti di vista, l’inizio della fine per il movimento terroristico, che pure sarebbe sopravviussuto per altri 10 anni.
L’uccisione di Moro suscitò infatti un’ondata di sdegno senza precedenti nella società italiana, unendo nel dolore e nella condanna forze politiche e sociali tradizionalmente divise. L’efferatezza del delitto alienò alle BR molte delle simpatie e complicità di cui avevano goduto in precedenza. La risposta repressiva dello Stato, insieme alla disillusione di parte della base ideologica delle BR, contribuì a decretarne la sostanziale fine politica e culturale nel decennio successivo.
Gli anni di piombo nella rilettura di Esterno notte
Il rapimento Moro si inserisce in uno dei periodi più bui della storia italiana: i cosiddetti anni di piombo. Decenni caratterizzati da un’intensa conflittualità sociale e politica, alimentata da tensioni ideologiche globali e da trasformazioni economiche e culturali profonde, anche in Italia. Le Brigate Rosse, fautrici del sequestro, rappresentavano in questo contesto una reazione ideologica, estremistica, paranoica – e progressivamente militarizzata – contro lo “Stato borghese”, simbolo di un potere percepito come oppressivo e corrotto.
Attraverso la sua narrazione, Bellocchio restituisce la complessità di questa vicenda. Contestualizzandola nel panorama politico internazionale della Guerra Fredda, in cui le pressioni degli Stati Uniti e la rigidità della parte tradizionalista della Democrazia Cristiana (e del sistema socio-politico italiano) si opponevano a qualsiasi apertura verso il Partito Comunista, che pure rappresentava un blocco importantissimo della democrazia italiana. Il compromesso storico, portato avanti da Moro, rappresentava certamente un audace punto di svolta. Ma anche, per altri, una minaccia agli equilibri politici e geopolitici esistenti
Bellocchio affronta questi temi con straordinaria attenzione, evitando facili risposte o semplificazioni. Esterno notte si distingue così per la capacità di intrecciare la dimensione pubblica e politica con quella privata, restituendo la tragedia umana dietro gli eventi storici. Un approccio che emerge in modo tanto più sorprendente, e toccante, nell’umanizzare figure spesso schiacciate in una dimensione monolitica, puramente storica: il papa, i leader di governo e di partito, i brigatisti… E, ovviamente, nel complessificare il suo Aldo Moro. Come, d’altra parte, il regista aveva già fatto.
Buongiorno, notte: il sogno del prigioniero
Perché Bellocchio aveva già affrontato il rapimento di Moro, prima di Esterno notte. Anzi, quasi 20 anni prima. Il film, più d’uno lo ricorderà, era Buongiorno, notte (2003). Liberamente ispirato al libro Il prigioniero di Anna Laura Braghetti, una delle brigatiste che parteciparono al sequestro, la pellicola adotta un approccio intimista. Concentrandosi principalmente sulla prigionia di Moro e sul microcosmo psicologico all’interno del covo delle Brigate Rosse.
In Buongiorno, notte, Moro, interpretato da Roberto Herlitzka (grande attore di cinema e teatro che però ricordiamo con amore anche per una sua folgorante e ironica apparizione in Boris), appare come una figura quasi mitica, a tratti fiabesca, ma profondamente umana. La narrazione si focalizza sulle tensioni tra i brigatisti, in particolare sul personaggio di Chiara (Maya Sansa), che rappresenta il conflitto interiore tra l’ideologia rivoluzionaria e la pietà umana. Bellocchio adotta un registro onirico, culminando in una scena simbolica in cui Moro viene liberato e cammina per le strade, quasi a rappresentare una possibilità alternativa alla realtà storica.
In un ideale confronto tra le opere, Esterno notte emerge come più ambizioso e corale. Espandendo il racconto per abbracciare le diverse prospettive di tutti i protagonisti del dramma: il governo, la Chiesa, la famiglia e i brigatisti stessi. Se Buongiorno, notte esplora la dimensione psicologica del sequestro, Esterno notte si propone di restituire un quadro completo e complesso. Interrogandosi non solo sulla tragedia personale di Moro, ma anche sulle responsabilità collettive di un’intera nazione.
Bellocchio stesso, pur nelle peculiarità del suo personalissimo stile, adatta il suo approccio alle due diverse opere. Passando da un’introspezione minimalista a una narrazione corale e quasi epica. Cercando, e trovando, un miracoloso equilibrio tra racconto storico e riflessione umana.
Esterno notte: un racconto mitico e senza tempo
Ecco perché possiamo, in chiusura, richiamare quell’elemento con cui avevamo aperto: l’apparentemente bizzarra sottolineatura della coincidenza per cui il tempo narrativo interno dell’Iliade coincide con quello del sequestro Moro, meno di 60 giorni. L’opera di Bellocchio si muove tutta nella dimensione del classico: la scelta di un soggetto storico, e quindi noto nel suo sviluppo narrativo; lo stile, capace di una solennità che eleva il racconto; la dimensione simbolica che la vicenda acquisisce.
Esterno notte si erge come una moderna tragedia greca: un racconto di cui conosciamo già la fine, e in cui trovano dimora una serie di conflitti esemplari. Lo scontro tra ragione di Stato e dignità individuale, tra giustizia e potere, tra pietà e politica. Questioni che ci interrogano attraverso la storia e il tempo, risuonando con forza nel presente.
Ma tono e linguaggio aprono anche, a tratti, e in solo apparente contrasto con il rigore della lettura di Bellocchio, a una dimensione quasi fiabesca. Appunto, mitica. Come nel folgorante inizio, controfattuale, quasi surreale, profondamente drammatico e commovente, in cui si mostra un Moro liberato, ricoverato dopo la prigionia in una stanza di ospedale romano, alla fine di un lungo corridoio presidiato da uomini in divisa. I vertici dello Stato e della DC si recano quasi in pellegrinaggio, ai piedi del letto, a contemplare con sconcerto e commozione e terrore questa sfinge muta, che nel silenzio giudica loro, un’intera classe dirigente, un intero Paese.
È un sogno, una fantasia, nulla più. Come quando ci capita, rileggendo appunto l’Iliade, di immaginare per l’eroe un destino diverso. Lo sappiamo: la fine è nota. Sappiamo che l’eroe dovrà morire. Sappiamo che “il mio sangue ricadrà su di voi”. Eppure, al di là di tutto, speriamo che l’esito possa cambiare. Come scrisse Moro nella sua ultima lettera alla moglie Eleonora, poche ora prima di essere ucciso: “Se ci fosse luce, sarebbe bellissimo”.
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Esterno notte: tormentato caleidoscopio sul rapimento Moro | PODCAST