Mr. McMahon è una docuserie statunitense in 6 episodi (Netflix, 2024) diretta da Chris Smith, sull’eccezionale e controversa carriera di Vince McMahon, a lungo incontrastato padre padrone della WWE. Oltre ad intervistare il diretto interessato, vengono chiamate in causa numerose figure di spicco del mondo del wrestling, tra cui: Hulk Hogan, Triple H, Bret Hart, The Rock, The Undertaker, John Cena, e i due figli McMahon – Shane e Stephanie. Vi sono inoltre altre personalità chiave di questa ‘industria’, tra giornalisti e imprenditori, in modo da fornire un’ampia gamma di prospettive sui trascorsi e sull’eredità di McMahon.
Vince McMahon è l’uomo e l’imprenditore. Il Mr. McMahon (che dà il titolo al documentario) è invece il popolare personaggio televisivo, il malvagio boss della WWE. Quanto distanti sono tra loro queste due figure? Mentre Vince è sicuro del fatto che siano totalmente differenti e separate, gran parte degli intervistati mette in dubbio ciò, suggerendo che il personaggio non sia che la versione esagerata della stessa persona. O che siano addirittura la stessa cosa. Dave Meltzer (Wrestling Observer Newsletter) ha rivelato questa essere stata per Vince fonte di frustrazione durante una proiezione anticipata. Tanto che McMahon ha deciso di rinnegare la docuserie giusto un giorno prima della sua uscita. Postando una dichiarazione sul suo account X, in cui definiva il lavoro “ingannevole” e intenzionalmente fuorviante.
Travolto infine dagli scandali sessuali e costretto alle dimissioni, Vince McMahon aveva annullato le sue ultime interviste per la docuserie. L’ex boss della WWE aveva inoltre cercato invano di acquisire i diritti di Mr. McMahon per impedirne la distribuzione.
Critiche contrastanti
Nonostante ciò, i giudizi sul documentario sono stati contrastanti (“sembra Succession in salsa wrestling” è di sicuro tra i più divertenti). Le critiche si dividono essenzialmente in due filoni. Quelli che reputano Mr. McMahon un ritratto tutto sommato onesto dell’uomo in questione, e quelli per cui la docuserie manca di trasparenza e autenticità.
Ad ogni modo, Vince esordisce in Mr. McMahon dicendo placidamente che non racconterà le sue ‘storie vere’, volendo mantenere il suo privato, il suo ‘vero sé’, per l’appunto, privato. Questo sempre nella candida convinzione di offrire al pubblico una maschera, il suo volto tenuto ben nascosto. Certo, per i fan di lunga data Mr. McMahon potrebbe essere una delusione, poiché i temi più scottanti e gli eventi più controversi non vengono realmente approfonditi. In larga parte per la durata stessa del documentario, che altrimenti avrebbe dovuto avere come minimo il doppio degli episodi. Ma anche perché molte delle affermazioni di Vince mancano di sostanza. Talvolta afferma semplicemente di non ricordare determinati eventi.
Interessante notare come l’uscita di questo documentario, pieno “di dichiarazioni autoincriminanti provenienti direttamente dalla fonte” (Paste Magazine), coincida con le dimissioni forzate di McMahon a causa dei nuovi scandali sessuali. E come questi due eventi coincidano con un contratto multimilionario stipulato tra la WWE (o meglio, la TKO) e la stessa Netflix, che ne diventerà la piattaforma ufficiale, con eventi live ecc. Forse è proprio a causa di questo contratto che Netflix non ha alla fine optato per una demolizione totale dell’uomo, stile I crimini di Jimmy Savile (Netflix, 2022).
Wrestling: chi è Vince (Mr.) McMahon?
La demolizione di Vince, sebbene parziale, c’è comunque tutta. E viene giocoforza il sospetto si tratti di un complotto (uso questo termine a mio rischio e pericolo) per eliminare il potente e incontrollabile ex magnate del wrestling. In vista delle future prospettive ‘formato famiglia’ e giustificando l’operazione con il becero ritratto che ne esce dal documentario stesso.
Ma chi è Vince McMahon? Un uomo d’affari eccezionale, che ha infranto ogni codice e ogni regola, scritta o non scritta che fosse, per primeggiare. Uno che ha sempre sognato in grande, senza mai guardarsi indietro e alzando ogni volta la posta. Quello che ha costruito dal nulla l’incredibile mito nazionale di Hulk Hogan, all’epoca secondo forse solo a Superman. E quello che ha portato la popolarità del wrestling a livello planetario, inventando eventi come Wrestlemania, che continua tuttora. Un imprenditore che, sull’orlo del baratro, ha sempre tirato fuori il meglio di sé, sbaragliando qualsiasi concorrenza e uscendo indenne da ogni avversità giudiziaria.
Nel nuovo millennio, in seguito all’evento noto come lo “screwjob di Montreal“, che gli attira tutte le antipatie – se non vero e proprio odio – da parte degli appassionati di wrestling, decide di capitalizzare tutto quella negatività creando il personaggio di Mr. McMahon, il cattivissimo e spietato boss della WWE. Con un successo a dir poco strepitoso: il suo personaggio diventa l’icona stessa del wrestling per i due decenni a venire. Fino al 2024, quando l’inarrestabile Vince McMahon, ormai ottantenne, è costretto a dimettersi.
Lo spettacolo atletico e la storyline
Il mondo del wrestling è assolutamente un mondo sui generis. Ed è un mondo quasi del tutto americano; per quanto possa essere stato internazionalmente esportato, è nato negli USA e degli USA ha tutto lo spirito. Innanzitutto il wrestling è essenzialmente uno spettacolo atletico (una “narrazione fisica” dice l’ex wrestler Al Snow. Gli incontri non sono finti, bensì coreografati. “Nel wrestling non c’è problema di verità, come non c’è a teatro” (lo dice Roland Barthes in Miti d’oggi, nel suo saggio sul “catch” di cui abbiamo parlato qui in questo pezzo su Nature Boy). Dalle categorie più basse, come la OVW ai massimi livelli della WWE, questi lottatori portano le proprie capacità fisico-atletiche al limite estremo. La maggior parte di loro ha un percorso costellato di operazioni chirurgiche e fisioterapia. Alcuni lottatori hanno subito più di venti interventi a causa dei colpi subiti.
Gli incontri, per funzionare – e non limitarsi ad essere una scazzottata acrobatica -, devono raccontare una storia. Per questo una buona metà dello show consiste in scene recitate, proclami urlati e video vari: i wrestler devono caricare di significato la propria lotta. Devono cioè caricarlo emotivamente, sì che il pubblico parteggi per l’uno o per l’altro. Si tratta della cosiddetta storyline.
Al principio era tutto molto semplice: c’era il buono e c’era il cattivo. Ma così come cinema e serie hanno dovuto abbandonare la figura dell’eroe senza macchia per passare alle contraddizioni dell’antieroe, anche il wrestling ha dovuto mescolare le proprie carte narrative. E nessuno ha saputo mescolarle bene come Vince McMahon. L’uomo ha praticamente stravolto ogni regola etica ed estetica di quel mondo. E ne ha portato all’eccesso i componenti, spettacolarizzando innanzitutto la sua stessa esistenza, quella della sua famiglia e di chiunque gravitasse intorno alla sua orbita. Del resto per lui non sono mai esistiti rapporti personali ma solo affari. E la sua unica famiglia è sempre stata la WWE.
Il re Mida trash & gore del wrestling
Ad esempio, mentre migliaia di persone urlano “slut!” (troia!) all’indirizzo della figlia Shannon, a causa di una storyline di tradimenti da lui orchestrata, Vince è felice come un bambino: perché suscitare emozioni significa incassare soldi. Potete quindi facilmente capire come l’orrido personaggio di Mr. McMahon, che amava sventolare le sue banconote dando dei pezzenti a tutti i presenti nell’arena, che amava tradire la moglie o fare a pugni con il figlio in diretta, fosse odiato e quindi anche amato dal pubblico. Che amava odiarlo.
Abituato a vincere qualsiasi confronto – imprenditoriale o giudiziario – l’uomo si sentiva realmente un intoccabile re Mida. Anche questa docuserie doveva essere stata per lui l’ennesima sfida – provocazione. Dalla quale già si vedeva uscire trionfante. Che le sconfitte – dimissioni forzate e fallimento nel fermare l’uscita di Mr. McMahon – siano arrivate assieme, come accennavamo, non è forse casuale. Ma ad ogni modo sono la testimonianza di come quest’uomo abbia trascorso un’intera esistenza a stravincere a modo suo. Senza mai doverne pagare le conseguenze. Almeno fino ad ora.
Che poi la moralista America abbia permesso il suo wrestling televisivo trash & gore è tutto dire. Così come ha accettato la figura della donna esibita come bambola sessuale. Il pubblico è o era prevalentemente composto da maschi single, ed è relativamente recente il serio impiego di lottatrici femminili. Tutta la prurigine dello spirito americano – muscoli, birre e pupe, risse e sangue a fiotti – aveva trovato una rappresentazione senza limiti di sorta, quasi aristotelicamente catartica. Oggi che la WWE è guidata da una multinazionale miliardaria, logicamente dei freni sono stati posti. Ma la materia prima rimane quella plasmata da Vince McMahon.
Wrestlers: capire il wrestling
Vince racchiude in sé una straripante audacia imprenditoriale (“it’s only business” ripete sovente), un cinismo a dir poco rivoltante e un senso dello spettacolo come pochi. In pratica è stato al centro di un sistema di cui ha incarnato al 100% splendori e contraddizioni.
Riferendosi alle ultime elezioni presidenziali americane, qualcuno disse: “noi europei non riusciremo mai a capire la politica americana, perché non capiamo il wrestling“. Il mondo costruito da McMahon – dal valore di svariati miliardi di dollari – si riflette facilmente nei modi e negli atteggiamenti dell’attuale presidente, soprattutto durante la fase della campagna elettorale. Non a caso i due – Mr. McMahon e Trump – si sono affrontati nel 2007 sul ring di Wrestlemania 23 (sic). E la moglie di McMahon – che è il suo braccio destro nella WWE – è stata nello staff presidenziale durante il primo mandato Trump, e in questo secondo pare ricoprirà il ruolo di ministro dell’educazione. Dal wrestling anni Novanta all’odierno sistema educativo, il balzo è, come dire, acrobatico…
In opposizione a Mr.McMahon, su Netflix si trova Wrestlers (2023), docuserie in otto episodi diretti da Greg Whiteley, sulla OVW (Ohio Valley Wrestling) di Louisville, Kentucky. La palestra guidata dal leggendario Al Snow, arranca economicamente, cercando di resistere contro i colossi multimilionari della pay-per-view. Nel wrestling vi è chi comprende le dinamiche dietro le storyline, sapendo che è tutto scriptato e riconoscendo le qualità atletiche dei lottatori e la forza delle narrazioni. Questa è l’old school. E c’è chi tifa o ha tifato semplicemente e appassionatamente per The Undertaker o per Rey Misterio. E basta. Anche se è strano che Mr. McMahon salti quasi del tutto la loro epoca, ovvero l’ultimo ventennio.
Legends of Tomorrow, Today!
Chi pensa al wrestling pensa alla WWE, disconoscendo realtà molto più povere, ma a loro modo forse più veraci, come quella della OVW. Da cui sono uscite vere e proprie superstar come John Cena, Brock Lesnar e Randy Orton. Al Snow pone grande enfasi sulla narrazione vecchio stile, ma nonostante l’affetto incondizionato di poche centinaia di aficionados, la palestra è sempre sull’orlo del fallimento. Alla perenne ricerca di sponsorizzazioni e diritti televisivi (non più mainstream), tra fiere e sagre paesane, Wrestlers racconta le storie di Al e dei suoi lottatori, quasi tutti outsider. Ovvero persone problematiche, con storie di guai con la legge, droga, abusi familiari ecc… Ci sono immigrati che inseguono il vecchio American Dream e star in pieno declino. C’è chi ha un altro lavoro e chi dorme in macchina. Ma tutti ci credono dannatamente.
E tutti sono speranzosi di ottenere un futuro contratto con realtà più importanti e remunerative. E il sogno proibito per tutti, ca va sans dire, è la WWE. Questa docuserie può talvolta essere estenuante ma di sicuro racconta senza filtri cosa significhi essere un wrestler, e che ripercussioni abbia nella vita. Il mondo della OVW è quindi per molti versi l’esatto opposto di quello della WWE, pur entrambi avendo il wrestling come centro assoluto. Edil saggio Al Snow è davvero all’antitesi dello spregiudicato Vince McMahon.
Non a caso è stato nella palestra di Al che molte leggende di oggi (“Legends of Tomorrow, Today!” si legge all’entrata della palestra) si sono fatte le ossa e hanno appreso i fondamenti dell’arte. Da Vince si arriva già preparati, per essere messi sotto i riflettori. E per guadagnare (ma soprattutto far guadagnare) milioni di dollari.
Nel bene e nel male
In sostanza, Vince McMahon è stato un genio assoluto dell’intrattenimento. Uno che ha saputo reinventarsi quando era sulla soglia del baratro. Uno che ha creato delle vere e proprie leggende nel mondo del wrestling, come ad esempio The Rock. Ma anche uno che ha spesso varcato la soglia dell’immoralità e, se vogliamo, dell’illegalità. Uno che ha trattato e fatto trattare alcune lottatrici come oggetti. Uno che ha umiliato a più riprese chi ha avuto la sfortuna di mettersi contro di lui. Nel bene e nel male, uno che ha accompagnato per più decenni tutti gli appassionati della WWE, ovvero del wrestling americano. Vince non è un simbolo dell’America, è l’America.
Lui dice di essere completamente diverso dal personaggio di Mr. McMahon. I suoi wrestler dicono invece che non sono tanto distanti. Talvolta dicono addirittura i due essere la stessa persona. E sono gli stessi lottatori che lo riconoscono come padre putativo e che per lui si getterebbero nel fuoco, mentre da lui e dalle sue azioni prendono prudentemente le distanze.
Molti di questi wrestler provengono dalla OVW di Al Snow, raccontata con pathos in Wrestlers. Il confronto tra le due docuserie, tra loro così diverse, dà un quadro abbastanza preciso dell’assurdo mondo del wrestling. Se a questo aggiungiamo l’uscita di Glow (Netflix, 2017-18) di qualche anno fa… (Acronimo di Gorgeous Ladies Of Wrestling, Glow è una serie drammatica dedicata alla nascita del wrestling femminile). Capiamo allora bene come la piattaforma abbia coperto quasi tutti i campi della disciplina, in attesa di realizzare la sua collaborazione con la nuova WWE, senza (Mr.) McMahon.
Su realtà e finzione
Da tempo Mondoserie va approfondendo il sempre più labile rapporto tra realtà e finzione dentro e fuori l’universo seriale, in quella che è stata a ragione battezzata la ‘società spettacolo’. L’America è la massima espressione di questa tendenza a sconfinare della realtà nella finzione e viceversa. Le docuserie degli ultimi anni (ascolta i nostri podcast su Documentari e follia) rappresentano i casi più emblematici di questo sconfinamento ontologico. E il wrestling, con la sua dichiarata commistione tra evento e coreografia, è un insolito e fertile terreno per ragionare su questo assurdo fenomeno.
Se Wrestlers racconta la nuda e cruda esistenza di questi lottatori, lontano da riflettori, dall’audience e dai milioni di dollari, Mr. McMahon ci dice invece l’impossibilità di scindere la persona dal personaggio che è propria del wrestling. Entrambe mettono al centro dell’evento la narrazione. Il wrestling è sostanzialmente una narrazione seriale, poiché i personaggi sono sempre quelli. E una storia che funziona è una storia che devi poter raccontare a lungo.
Ai tempi d’oro della WWE non c’erano limiti ai contenuti della messinscena. Che si fecero ultraviolenti, volgari, razzisti (penso a Steve Austin), sessisti, addirittura splatter e pornografici. Oggi vi è una multinazionale nel consiglio d’amministrazione della WWE. Non c’è dunque più spazio per personaggi come Mr. McMahon e nemmeno per direttori creativi come Vince McMahon. Il wrestling è stato edulcorato, affinché possa essere visto da tutta la famiglia invece che dai soliti maschi single tra i 15 e i 35 anni. I nuovi canoni imposti al wrestling soffocano lo spirito anarchico che l’ha da sempre contraddistinto. O almeno nei 40 anni di McMahon. Uno spirito che forse si può ancora ritrovare, fatte le debite proporzioni, nella fatiscente arena di Al Snow.
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