Non è che voglia fare lo spiritoso se vi dico che, per parlare di Disclaimer, ho bisogno di fare anch’io un disclaimer (letteralmente: un’avvertenza). Lo so che mi infilo in un ginepraio, in un campo minato, in una valle di lacrime. Proprio come l’opera di cui parla, anche questo pezzo finirà per essere difficile – e probabilmente, per molti, insoddisfacente. Portate pazienza, e siate clementi. Non è del tutto colpa mia. E non è che voglia fare a tutti i costi il bastian contrario.
D’altra parte, lo show di Alfonso Cuarón sembra fatto apposta per dividere. E infatti ha diviso. C’è chi – i più, almeno nella platea critica – lo ha esaltato. E ci sono però anche parecchi a cui ha dato sui nervi, o peggio. Entrambi gli schieramenti, diciamo così, hanno buone ragioni. E buone munizioni. Di certo, dopo l’anomala presentazione al Festival del Cinema di Venezia, la miniserie del pluripremiato regista messicano è arrivata a fine 2024 su Apple TV+ avvolta da un’intensa anticipazione. Quasi un’aura mistica da capolavoro obbligato. Un cast pazzesco, un autore tra i più apprezzati del cinema d’oggi (qui regista e sceneggiatore di ognuno dei 7 episodi), un romanzo di successo alle spalle. E le prime puntate non hanno fatto altro che moltiplicare le grida di entusiasmo. Eppure…
Eppure sono arrivato alla fine dell’ultimo episodio sempre più combattuto. Ancora a tratti meravigliato dalla bellezza di un’opera complessa, avvolgente, ambiziosissima. E insieme animato da una insoddisfazione crescente. Una disaffezione maturata puntata dopo puntata, facendo lievitare lo scetticismo verso l’intera operazione.
Che poi, diciamolo subito, Disclaimer non è neppure una miniserie: è un lunghissimo thriller della durata – non necessaria – di circa 6 ore. Che gioca sadicamente con le aspettative dello spettatore. Ma che forse finisce vittima del proprio stesso raggiro. Vediamo perché.
Un cast stellare per il ritorno in tv del pluripremiato Cuarón
Diretta e scritta da Alfonso Cuarón a partire dal romanzo omonimo di Renée Knight del 2015, la miniserie Disclaimer è una produzione di alto profilo di Apple TV+. Che l’ha distribuita da ottobre 2024, accompagnandola con un cospicuo battage promozionale. Dopo averla presentata al festival del Cinema di Venezia, in cui il suo autore, Cuarón, è di casa. Il celebratissimo regista messicano, che ha all’attivo 4 Oscar, 3 Golden Globe e un mucchio di altre statuette, in laguna è stato presidente di giuria (nel 2015) e ha portato negli anni tanti film. Tra i suoi lungometraggi qui premiati: Y tu mamá también (2001), Children of Men (2006), Gravity (2013) e Roma, che nel 2018 gli è valso il Leone d’Oro.
Disclaimer non è la sua prima avventura televisiva: a parte gli esordi messicani, il nostro si era cimentato col piccolo schermo nel 2013. La serie (avventurosa / fantastica) si chiamava Believe, e non ve la ricordate perché fu un fiasco. Questa nuova e sfarzosa produzione vanta un cast stellare: Cate Blanchett interpreta Catherine Ravenscroft, giornalista televisiva di primo piano, celebrata per le indagini a sfondo sociale. Kevin Kline ne è l’antagonista, il professore in pensione Stephen Brigstocke. Sacha Baron Cohen (Borat, Who is America?) è il marito della protagonista, Robert, ricco avvocato che dirige una compagnia non-profit di dubbia moralità.
Cuarón, cineasta dalla poetica visiva altamente distintiva, in Disclaimer si cimenta in un esperimento lungo sette episodi (di durata media di 50’), che fonde i canoni del thriller psicologico con la riflessione sul tema della verità. Il risultato oscilla tra il noir e l’introspezione. Per lo spettatore è un viaggio ambivalente: a tratti affascinante, a tratti frustrante (volutamente, almeno in parte ). La narrazione è non lineare. Lo stile imponente.
La trama di Disclaimer
La trama di Disclaimer prende il via a Londra. Catherine, appena premiata per il suo lavoro giornalistico, riceve un libro da uno sconosciuto (Stephen, docente in pensione). Il volume, autopubblicato, sembra avere lei come protagonista, e racconta dettagli intimi e drammatici di un passato che ha sepolto da molto tempo. A partire da un evento traumatico, accaduto 20 anni prima in Italia, durante una vacanza estiva – quando un giovane uomo è morto in circostanze misteriose. Quel ragazzo, Jonathan, era il figlio di Stephen: che oggi, convintosi della responsabilità di Catherine nella tragedia che ha colpito e devastato la sua famiglia, decide di regolare i conti. Un set di foto esplicite, apparentemente scattate durante la vacanza italiana e con protagonista la giovane Catherine, viene recapitato anonimamente a Robert. Creando tensioni e sospetti.
Non raccontiamo di più, qui (lo faremo più avanti in un capitolo dedicato al problema delle “inverosimiglianze” di Disclaimer). Conviene piuttosto dire due parole sulle modalità con cui il racconto è costruito e offerto allo spettatore. L’azione si svolge principalmente in due spazi e tempi distinti: la Londra di oggi; l’Italia dei primi 2000, tra Venezia e il litorale toscano con Forte dei Marmi. Ma la narrazione non è lineare. Procedendo per flashback, intreccio di punti di vista diversi, ricostruzioni a posteriori, illustrazione delle conseguenze attuali. Sviluppando un dialogo tra il passato e il presente di Catherine, dove ogni scena aggiunge un tassello alla definizione del suo mosaico biografico e morale.
Cuarón utilizza la premessa narrativa, e la scelta di un racconto non lineare (complesso, ingannevole), per esplorare l’impatto della verità e delle azioni di ognuno sulla percezione di sé e sugli altri. In un’atmosfera claustrofobica, in cui il senso di colpa diventa un’ombra capace di avvelenare ogni vita, ogni relazione, ogni momento.
Tre narrazioni concorrenti…
Abbiamo detto che vi sono, in Disclaimer, due distinti piani temporali. La cosa è leggermente più complessa di così. Perché vi sono anche tre prospettive narrative intrecciate. E tutte con un diverso statuto ontologico e gnoseologico (cioè: non tutte hanno la stessa natura, o la stessa importanza nel decifrare il mistero che sta al centro del racconto). Due di queste prospettive narrative assumono la forma di voci off. La prima è quella dell’antagonista, Stephen, ed è quella del suo interprete, Kevin Kline: parlando in prima persona, ci rivela aspettative e dettagli del suo piano di vendetta.
La seconda, la più importante, è associata alla protagonista, Catherine. Ma, attenzione!, non è la sua voce, e neppure la voce della sua interprete (Cate Blanchett). È la voce di una narratrice esterna, l’attrice Indira Varma, apparentemente onnisciente, che non si incarna in alcun personaggio. Questa voce parla in seconda persona, come se si rivolgesse alla protagonista. Commentandone le azioni. A volte illustrandone i travagli. A volte descrivendo – con effetto straniante – le scene che stiamo vedendo.
La terza prospettiva narrativa non è una voce off, e non emerge subito. È, come capiremo piano piano, l’insieme del piano di racconto del fatidico incidente di vent’anni prima. Ci accorgiamo quasi subito che la messa in scena della vacanza in Italia ha una natura diversa dagli altri filoni: ogni scena è aperta e chiusa a iride, con un effetto fiabesco, da cinema antico. A poco a poco, il racconto ci appare vieppiù irreale: è in effetti, capiremo, la versione romanzata (letteralmente) di quella lontana e tragica vicenda luttuosa. Fatta, anni dopo e con informazioni parziali, in “The Perfect Stranger” (perfetto sconosciuto), il libro auto-pubblicato che giungerà a tormentare Cate, suo marito Robert, il figlio Nicholas, sconvolgendone le vite.
… per una sola verità?
Capite bene: la complessità è tanta. L’ambizione di Cuarón è quella di costruire una riflessione filosofica sulla verità – della memoria, del racconto, persino delle immagini (come il capolavoro Landscapers). E insieme su fiducia, credulità, pregiudizi. Giocando con le nostre aspettative di spettatori. Anzi, portandoci deliberatamente a guardare in una direzione per poi indicare in un’altra. A credere a una storia (a una versione), per poi metterla in dubbio.
Non per caso la serie, nella prima scena “reale” del racconto, piazza quasi un’avvertenza. Appunto un disclaimer rivolto al pubblico. La persona che premia Catherine, nel suo discorso di introduzione, dice così: “Prestate attenzione alla narrazione e allo stile (narrative and form). La loro forza può farci avvicinare alla verità, ma possono anche essere una potente arma di manipolazione”. Sta parlando del lavoro della protagonista, ma ci sta anche mettendo in guardia, quando dice che “lungo quasi 20 anni di carriera si è fatta strada tra narrazioni e forme che ci distraggono da verità nascoste, per affrontare alcuni dei più complessi temi contemporanei”. Mostrandoci che chi ha potere può manipolarci solo grazie alle nostre più radicate convinzioni, ai giudizi, ai pregiudizi: cioè che siamo complici di questa manipolazione. È sempre la presentatrice che parla di Catherine, ma al contempo, è chiaro, di ciò a cui stiamo per assistere.
Non basta? A parlare nella scena descritta è una vera e famosa giornalista, Christiane Amanpour. Nei panni di se stessa. Insomma, la complessità è elevata al quadrato. Il gioco tra verità e finzione si fa scopertissimo. E potenzialmente eccitante, come eccitante e stordente è stata la visione del primo paio di episodi.
Eppure, è proprio qui che Disclaimer inciampa: finendo per perdersi nel labirinto di specchi e fumo che crea. Vittima della propria stessa scelta manipolatoria.
Disclaimer: un problema di inverosimiglianza (e qualche spoiler)
Perché va bene la sospensione dell’incredulità, d’accordo, ci mancherebbe. Ma se vuoi propormi un thriller psicologico di questa radicalità, e tortuosità, almeno pretendo che tu ne costruisca gli elementi portanti nel modo più onesto, forte, credibile possibile. E invece fin dalle fondamenta Disclaimer sconta un problema gigantesco proprio sul fronte della credibilità. Che pure sarebbe, per paradosso, proprio uno dei suoi oggetti di indagine e di denuncia, come abbiamo intuito fin dal manifesto introduttivo affidato alle parole della Amanpour.
Qua devo menzionare alcuni elementi narrativi: i primi sono innocui, ma via via si entra (con molta cautela) nel terreno minato del possibile SPOILER fino alla fine del capitolo.
Partiamo dall’inizio. Quante probabilità ci sono che una celebre giornalista e documentarista, abituata per mestiere a vagliare fonti e informazioni, legga subito la novella auto-pubblicata che riceva anonimamente per posta? Ma peggio: l’intero piano di vendetta di Stephen si basa su un singolo cruciale assunto, e cioè che quel libro lo leggeranno, subito, nello stesso momento, tutte le persone della vita di Catherine a cui lo fa avere. Il marito, il figlio, i colleghi di lavoro, la proprietaria della libreria indipendente sotto casa… Gente che ha una vita, un mestiere, cose da fare, o che magari (come il figlio-zombi) non legge neanche per sbaglio. Tutti mollano quello che stanno facendo e divorano lo sconosciuto romanzetto rosa che racconta la torrida e torbida vacanza al mare. E tutti lo prendono per oro colato.
Proprio come il suo piano, anche Stephen – l’antagonista – è straordinariamente implausibile. Un cartone animato, che va in giro a gettare “bombe” informative ridacchiando, che pianifica una vendetta a dir poco folle, che indossa il vecchio cardigan rosa e tarlato della moglie con sguardo luciferino. E la repentinità con cui cambia idea, con cui passa da una credenza radicale all’altra: lo stesso problema del marito di Catherine, Robert, una sorta di caricatura maschile che un minuto idolatra la moglie e il minuto dopo si fa servile verso il suo persecutore.
Ma ancora più alla base. Non ha uno straccio di senso che la madre del ragazzo morto sia in grado di ricostruire, con tutti quei dettagli, anni dopo, cosa sarebbe successo nella fatidica vacanza italiana. Di cui non ci sono testimoni né racconti. Solo alcune foto, per nulla diverse dalle decine o centinaia di foto del viaggio di Jonathan tra Venezia, Pisa, il mare. Come associa quelle foto esplicite a Catherine? Perché la dovrebbe ritenere implicata? E di quale colpa, esattamente, se ci si pensa bene?
Non parlo neppure di quanto straordinariamente implausibili, sebbene magnificamente girate, siano le scene sulla spiaggia toscana. E, per non mettermi troppo nei guai, pongo solo una domanda sul comportamento di Catherine: ma davvero, dopo che tutto il pasticcio sta esplodendo, dopo che ha capito quanto le rivelazioni di Stephen le stiano distruggendo vita e relazioni, davvero solo alla settima puntata su sette riuscirà a trovare il modo di “far ascoltare la sua voce”?
Un ambiziosissimo, magnifico fallimento
La contraddizione di Disclaimer è questa. La foga dimostrativa e para-femminista porta Cuarón a costruire non tanto un thriller a sorpresa quanto un racconto a tesi. In cui, per mostrarci che la voce di una donna non viene ascoltata, fa esattamente la stessa cosa: la soffoca per sei puntate, portandoci a credere l’opposto, facendoci identificare e solidarizzare con i suoi detrattori, facendoci cinicamente godere della sua caduta. E in cui, per dimostrare che narrazioni e stile sono forze potenti e pericolose, le usa per ingannare attivamente lo spettatore.
È quasi ironico che una serie che ambiva a esaminare le sfumature della verità si riveli così “disonesta” nel suo approccio. Disclaimer, così, finisce per riflettere la stessa ambiguità che vorrebbe denunciare: è un potenziale capolavoro fallito, un magnifico racconto cui manca la lucidità per farsi vero apologo filosofico e morale, un Rashomon senza rigore e senza disciplina. È un’opera ambiziosissima e irrisolta, una dimostrazione del talento visivo e narrativo del suo autore e però del rischio che tutta quella bravura finisca, quando non imbrigliata, per diventare maniera: come per le interpretazioni dei suoi splendidi attori, come per la stucchevole ed esasperante moltiplicazione delle voci off, come per le musiche belle ma un po’ enfatiche di Finneas O’Connell (talentuosissimo fratello e co-autore della popstar Billie Eilish).
Anche noi, giunti alla fine della miniserie (e di queste righe), ci sentiamo un po’ irrisolti. Emozionati e insieme esasperati. Attratti e insieme respinti. In fondo non del tutto sicuri se ricorderemo Disclaimer come un lunghissimo film noir in sette episodi, complesso, avvolgente, ambizioso – o disonesto, vacuo, pretenzioso. Magari, semplicemente, non ci penseremo più.
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