«Sono l’agente federale Jack Bauer. Oggi sarà il giorno più lungo della mia vita». Iniziava così, il 6 novembre 2001, 24. Serie destinata a ritagliarsi un posto non piccolo nella storia della tv, che aveva appena iniziato quella “età dell’oro” (o meglio della complessità) di cui stiamo ancora godendo.
Il debutto avviene con un tempismo profetico, quasi numinoso: era l’America del brusco risveglio post 11 settembre. Le Torri crollate solo poche settimane prima. La ferita del più sanguinoso attacco sul suolo statunitense. Lo spettro del terrorismo che aveva messo a segno il suo più grande trionfo. E 24, cosa raccontava? Una giornata del volitivo ed eroico agente federale Jack Bauer del CTU (Counter Terrorist Unit) di Los Angeles, una fittizia agenzia governativa anti-terrorismo. Impegnato, stagione dopo stagione, a contrastare una nuova minaccia alla sicurezza degli Stati Uniti d’America. Attentati, ordigni nucleari, epidemie batteriologiche, operazioni militari straniere. Ogni volta, in 24 fatidiche ore: “oggi sarà il giorno più lungo della mia vita”.
Ma in 24 ci sono moltissime cose, non solo intrattenimento adrenalico e azione al cardiopalma. Come vedremo, c’è una riflessione – più muscolare che cerebrale – sulla politica, l’etica, i diritti. C’è un manifesto quasi programmatico dell’allora arrembante neo-conservatorismo. C’è un tassello del grande mosaico paranoico e complottista di cui tra fine anni ‘90 e primi 2000 vengono gettate le fondamenta. Ancora: c’è un pezzo, l’abbiamo già accennato, della storia della televisione.
E c’è pure, a voler ben guardare, una meditazione – sovreccitata più che elegiaca, d’accordo, ma non per questo invisibile – sul tempo. E sulla presa ineludibile con cui tutti ci stringe, ci definisce, ci sconfigge.
Cos’è 24
Partiamo dai fondamentali. 24, o almeno le sue stagioni “storiche” (parleremo più in là del franchise che ha generato), si sviluppa in 8 stagioni, dal 2001-2010. Per la bellezza di 192 puntate: 24 puntate a stagione. E non è una coincidenza, come vedremo meglio nel prossimo capitolo. Oggi, in Italia, le trovate tutte su Disney+.
Creata da Joel Surnow e Robert Cochran e prodotta da Fox, quando chiude i battenti, nel 2010, avrà lasciato un’impronta robusta nel panorama televisivo – e forse più ancora culturale. Avendo proiettato il suo interprete principale, Kiefer Sutherland, a vette mostruose di popolarità. Trasformandone il personaggio, l’agente federale Jack Bauer, in un’icona della cultura pop del nuovo millennio. E in un simbolo assai contemporaneo di abnegazione, sacrificio, e determinazione – a qualsiasi costo. Perché Bauer è una figura titanica, incorruttibile, disposta a tutto pur di proteggere la sua nazione: fino a ricorrere a metodi estremi come la tortura…
Nel corso delle sue 8 popolarissime stagioni la serie esplora dunque temi difficili, controversi e assai attuali: terrorismo, liceità delle tecniche di interrogatorio “estreme”, corruzione politica, la vecchia idea secondo cui “il fine giustifica i mezzi”. Costretta, per eccezionale coincidenza, ad andare in onda subito dopo gli attacchi dell’11 settembre 2001, 24 ha rispecchiato e insieme alimentato le paure e le tensioni dell’epoca. Con uno di quegli esempi – che a noi piacciono tanto – di commistione tra finzione e realtà.
Il tempo, e una struttura narrativa unica e originale
24 è, salvo dimenticanze, l’unica serie ad avere come titolo la propria struttura (o, se preferite, a raccontare nel titolo la propria struttura). E la sua struttura narrativa è unica, e a dir poco radicale. Costituendo fin da subito la prima ragione di una fascinazione potente.
Come funziona? Ogni stagione della serie mette in scena, l’abbiamo detto, una mortale minaccia terroristica contro gli USA. E ognuna di queste storie si svolge in una singola giornata. Con ogni episodio che rappresenta un’ora di quella giornata. Seguiamo così Jack Bauer in una vera e propria corsa contro il tempo: 24 ore nella sua vita, 24 ore per sventare il pericolo. 24 episodi. Avete capito: un’ora di televisione (pubblicità comprese) equivale a un’ora di racconto. Praticamente in tempo reale!
Una scelta narrativa innovativa, che non solo crea una tensione continua ma permette anche agli spettatori di vivere gli eventi in tempo reale. Aumentando il coinvolgimento e l’immersione nella storia. L’uso frequente dello split screen, poi, permette di seguire contemporaneamente le diverse azioni dei personaggi. Rendendo la narrazione ancora più dinamica e complessa. E permettendo di mantenere un’essenziale unità di tempo e di azione.
Ma non solo. L’attenzione ossessiva al tempo è uno degli elementi distintivi della serie. Il tempo è sempre presente non solo visivamente e narrativamente ma anche foneticamente e musicalmente. Scandito dai continui countdown e ticchettii che segnano l’avvicinarsi di una crisi o di un colpo di scena. Questo approccio non lascia spazio all’attesa, costringendo i personaggi (e gli spettatori) a vivere in un perpetuo stato di urgenza.
Il tempo, in 24, è un nemico tanto quanto i terroristi che Jack Bauer deve affrontare. Tempo che non c’è, tempo che manca, tempo da vivere in un conciatissimo presente permanente.
24: le 8 stagioni storiche, spin-off e franchise
A volo d’uccello, facciamo una carrellata sulle otto stagioni “classiche” di 24: più che altro per familiarizzare con temi e situazioni. Nella stagione 1, Jack Bauer deve fermare un complotto per assassinare il candidato alla presidenza David Palmer e salvare la sua famiglia. La seconda stagione alza la posta: Jack cerca di prevenire un attacco nucleare su Los Angeles. La stagione 3 porta una nuova minaccia globale: un virus mortale.
Nella quarta stagione, un attacco terroristico multiplo contro gli Stati Uniti mette alla prova le capacità di Jack e del CTU di rispondere a crisi simultanee. La stagione 5, più politica, porta al centro dell’azione paranoie da deep state: la scoperta di un complotto all’interno del governo degli Stati Uniti mette Jack contro i suoi stessi colleghi e alleati. La sesta stagione ricicla vecchie idee: una serie di attacchi terroristici culmina con una minaccia nucleare. Stagione 7, di nuovo politica & paranoia: Bauer lavora per fermare un colpo di stato all’interno del governo. L’ottava è anche la stagione finale di 24. Jack cerca di prevenire un attacco terroristico contro i leader del mondo durante i negoziati di pace.
Negli anni, il marchio è diventato un vero e proprio franchising. Sono stati prodotti videogiochi, webserie, fumetti. E naturalmente anche varie espansioni televisive. 24: Redemption, tv movie che funge da ponte tra le stagioni 6 e 7, ambientato in Africa; 24: Live Another Day, miniserie in 12 episodi andata in onda nel 2014 e ambientata, coerentemente, quattro anni dopo la fine della serie originale, con Jack Bauer a Londra; 24: Legacy, uno spin-off che ha avuto una sola stagione nel 2017, con un nuovo protagonista, Eric Carter. Nessuno di questi prodotti, va detto, ha neppure avvicinato l’impatto e la popolarità della serie originale.
Le tre unità aristoteliche di tempo, luogo e azione
È venuto il momento di un primo punto storico-filosofico. Questo è particolarmente ovvio, perché 24 è una delle poche serie (e certamente la più radicale nel farlo) ad aver deciso di rispettare alla lettera un antico precetto drammaturgico. Formulato nientemeno che da Aristotele, nel quarto secolo avanti Cristo. E quindi vecchio di 2400 anni. Le tre unità di tempo, luogo e azione. Che cosa sono? Sono principi classici della drammaturgia che suggeriscono che una storia dovrebbe avere un’azione principale, unitaria, che si svolge nel medesimo luogo e in un arco di tempo continuo e limitato.
Vediamoli applicati. Unità di tempo: ogni stagione dello show copre un arco di 24 ore, con ogni episodio che rappresenta un’ora della giornata. La continuità temporale è quindi garantita. Unità di luogo: sebbene l’azione possa spostarsi, la maggior parte delle scene si svolge in fortissima prossimità spaziale (la stessa città, lo stesso territorio), creando un senso di coerenza fisica. Unità di azione: ogni stagione ha un’azione principale – fermare una specifica minaccia terroristica – che definisce la trama. Le sottotrame e le azioni parallele sono tutte collegate all’azione principale, mantenendo la narrazione focalizzata e coerente.
Insomma, quasi 2500 anni dopo la loro formulazione, 24 rinverdisce i fasti di questi antichi principi aristotelici, combinandoli con una martellante narrazione in tempo reale. Contribuendo a creare una serie unica nel suo genere, capace come poche di catturare tensione e interesse dello spettatore.
La filosofia di 24: il fine giustifica i mezzi… fino alla tortura?
24 riflette una filosofia di pragmatismo estremo. Potremmo dire di realpolitik senza compromessi. La nozione che “il fine giustifica i mezzi” è centrale nella narrativa della serie. Jack Bauer è un personaggio che agisce con determinazione inarrestabile in un mondo grigio, dove le decisioni morali sono spesso ambigue e complesse. Un approccio capace di connettersi profondamente alla psiche collettiva in un periodo storico in cui la sicurezza nazionale era una preoccupazione primaria per molti americani (ricordate il “Patriot Act”?). Al punto da sopravanzare, o oscurare, altre considerazioni.
In questo senso, una delle tematiche più controverse dello show è legata al modus operandi di Jack Bauer, improntato a un efficientismo persino brutale. Se la comunità è in pericolo e innocenti rischiano di morire, il nostro agente non esita a violare protocolli, leggi e diritti umani – perché, appunto, il fine giustifica i mezzi. Una posizione che ha suscitato molte critiche. Soprattutto riguardo a un tema: la rappresentazione della tortura.
Le scene di tortura in 24 sono assai frequenti, cruente e agite non solo dai “cattivi” ma anche dall’eroe. Vengono presentate come strumenti necessari, e sovente efficaci, per ottenere informazioni cruciali. Una linea che ha attirato critiche da parte di attivisti per i diritti umani, esperti di interrogatori e persino funzionari militari. La preoccupazione era che la serie, così popolare specie in certi ambiti, normalizzasse e persino rendesse “glamour” la tortura, influenzando negativamente l’opinione pubblica e i comportamenti dei militari americani.
Va detto che, in risposta alle critiche, i creatori della serie hanno ridotto l’uso della tortura nelle stagioni successive (bell’esempio di influenza biunivoca tra finzione e realtà!). Ma il dibattito sull’etica dei metodi di Jack Bauer è rimasto un punto centrale di discussione.
La dimensione politica: Jack Bauer eroe neo-conservatore
24 ha sviluppato un forte legame con la politica americana, anche se in larga parte per ragioni fortuite. La serie è stata infatti prodotta e trasmessa durante un periodo segnato dagli attacchi dell’11 settembre (qui il nostro speciale) e dalle successive guerre in Afghanistan e Iraq. Questi eventi hanno influenzato profondamente la narrazione e le tematiche della serie. Trasformando uno show pensato prima, in anni di relativa tranquillità, in uno specchio delle paure e delle preoccupazioni dell’epoca.
24 ha così accompagnato, con una sovrapposizione quasi perfetta, il doppio mandato presidenziale di George W. Bush (2001-2009). Riflettendone molte delle politiche, in modo assai coerente rispetto alla propria rete di riferimento: quella Fox che stava diventando bastione e faro della destra americana. La serie è stata persino vista come un manifesto del neo-conservatorismo, enfatizzando la necessità di azioni decise e senza compromessi per proteggere la nazione. I conservatori hanno abbracciato la figura di Jack Bauer come simbolo perfetto della lotta senza quartiere contro il terrorismo.
Non solo. Lo show è stato anche criticato per la sua rappresentazione dei musulmani, dipinti spesso e volentieri come minacce. Una stereotipizzazione, secondo i critici, che ha contribuito a perpetuare pregiudizi e islamofobia.
E sempre in ambito politico, è difficile non constatare come 24 dia una voce robusta, in senso propriamente politico, a quella diffidenza paranoica nei confronti dello Stato e delle istituzioni che avevamo già visto affiorare, per esempio, in una serie bandiera degli anni ‘90 come X-Files. Tradimento, corruzione, spregiudicatezza, cinismo: una figura come quella del presidente Charles Logan (anche fisionomicamente assimilabile a Nixon) rappresenta l’incarnazione del lato oscuro del potere, a cui abbiamo dedicato questo approfondimento. A tutto questo si contrappone, naturalmente, Jack Bauer: campione di integrità e coraggio, persino nel superare le proprie stesse fragilità.
Dovere, sacrificio, e l’evoluzione di un eroe a suo modo complesso
Nel corso delle otto stagioni storiche, va detto, Jack Bauer conosce un’evoluzione. Inizialmente presentato come un agente infallibile e senza scrupoli, granitico nella sua determinazione, il personaggio mostra progressivamente – e accetta – fragilità e limiti. Più la serie avanza, più Bauer esibisce segni di tormento, di rimpianto, di sofferenza – simbolicamente incarnati dalla dipendenza che a un certo punto sviluppa dopo una missione sotto copertura. O dalle ferite di cui si copre. Insomma, senza nulla togliere ai tratti di azione purissima dello show, il Nostro si rivela un personaggio più complesso e sfaccettato di quello che si poteva pensare: capace di suscitare empatia e comprensione anche quando le sue azioni sono moralmente discutibili.
D’altra parte, l’eroismo di Jack Bauer è proprio definito dalla dimensione del sacrificio: per proteggere gli altri, per salvare il Paese, egli è spesso costretto a mettere in secondo piano non dico la sua personale felicità (lontano miraggio) e il suo stesso benessere, ma persino la vita di coloro a cui vuole bene. Ed è proprio questo spiccatissimo, quasi sovrumano, senso del dovere ad aver trasformato l’agente dell’antiterrorismo in un personaggio così iconico. E così amato.
Un po’ scherzando, un po’ no, in una puntata del podcast di qualche tempo fa dedicata proprio a 24 (la trovate qui) abbiamo suggerito altre interpretazioni possibili del nostro protagonista. Vi rimandiamo all’ascolto per sentirle tutte, ma – tra le altre – buttavamo lì una lettura di Bauer come “eroe e martire del turbo capitalismo”. Definendolo in un certo senso, probabilmente involontario, il prototipo del lavoratore di oggi. Un lavoratore neo-proletario di una middle class impoverita dalla tendenza alla concentrazione di potere economico: sempre connesso, sempre reperibile, sempre in servizio. Letteralmente 24h su 24! Quasi un aggiornamento di Tempi Moderni…
L’impatto di 24 sulla cultura popolare
24 ha avuto un impatto significativo sulla cultura popolare. La serie è stata discussa, commentata e analizzata da presidenti, giudici della Corte Suprema, politici e opinion leader. Ha influenzato il modo in cui il pubblico percepisce il terrorismo, la sicurezza nazionale e l’uso della forza. Ha anche contribuito a plasmare l’immaginario collettivo in materia di eroi contemporanei, presentando (o meglio ripresentando) un modello di virtù basato sul sacrificio personale e su una disposizione all’azione senza tentennamenti. Insomma, un modello quasi medievale, cavalleresco in un certo senso.
Ancora oggi, a distanza di tanti anni dalla sua conclusione (ignoro volutamente il tentativo abortito di spin off posteriore), mantiene forte la sua popolarità. Anche se è importante ricordare – ed è un avvertimento prezioso per chi si accingesse a guardarla per la prima volta – che si tratta di una serie figlia di un’altra epoca. In cui la distribuzione degli episodi era settimanale, e l’assorbimento di una stagione (ben 24 episodi!) richiedeva più o meno cinque mesi. Chi pratica il binge watching potrebbe facilmente trovare ripetizioni, ridondanze, semplificazioni. Ma appunto, la ragione è quella.
Ma al di là della sua popolarità ancora viva, 24 è stata – ed è – più di un semplice show: è un fenomeno pop che ha riflettuto e insieme influenzato la società americana durante un periodo di grande incertezza e cambiamento. Con il suo formato innovativo, la sua narrazione intensa e i suoi temi provocatori, la serie ha lasciato un’impronta indelebile nel panorama televisivo e nella cultura popolare. Jack Bauer, con la sua complessità e il suo implacabile senso del dovere, rimane un personaggio iconico.
Comunque lo si giudichi, simbolo di un’epoca che decise – più o meno collettivamente – che la sicurezza valeva più di una singola vita. Certamente più della felicità. Un tema per niente banale.
Finale mistico: il finale di 24
Parliamo ovviamente del finale della serie “storica”, trasmesso nel 2010. E, seppur prudentemente, faremo intendere cose che chi non voglia SPOILER potrebbe preferire evitare (la scena è questa qui sopra). Dopo un crescendo drammatico di tensione, colpi di scena, tradimenti, Jack Bauer è finalmente alla sua ultima missione. Ha, per quel che poteva, rimesso a posto – ancora una volta – le cose. Per quel che poteva; e finché durerà. Rimasto solo, braccato, ferito, sopravvissuto a sfide disumane, ormai troppo pericoloso persino per quella patria che ha così eroicamente servito, non può che fuggire. O meglio: svanire.
In fondo, è l’epilogo che meglio riflette il destino tragico del personaggio, che dopo aver sacrificato tutto per il bene della nazione, si trova senza un posto nel mondo che ha contribuito a salvare. In fondo, come tanti eroi epici prima di lui: tutti consumati da un destino sovrumano, che ne assorbe e sequestra la vita.
Ma, in un altro e più profondo senso, il finale della serie costituisce una perfetta chiosa poetica all’idea della tirannia del tempo che, tra le righe, questo possente show aveva messo in scena. Jack Bauer lascia il mondo, perché non c’è più posto per lui.
Il suo mondo è finito. È finito, più di ogni altra cosa, il suo tempo.
Ascolta la puntata del podcast su 24
Leggi l’approfondimento sulla rappresentazione del potere in tv e al cinema