Jupiter’s Legacy è un caso piuttosto eclatante in cui il giudizio del pubblico mostra più saggezza di quello della critica. Apparsa assai fredda, se non apertamente ostile, verso una serie accusata soprattutto di un’esagerata, micidiale, lentezza.
Personalmente ho guardato le 8 puntate della prima stagione, messa in onda da Netflix il 7 maggio, in una sola giornata. Come non mi capitava da tempo. E trovandoci numerose ragioni di fascinazione.
Non perché lo show sia perfetto: non lo è. Né perché io sia un particolare fan del genere supereroico: non lo sono. Ma perché riesce a fare ciò che a una serie, in fondo, dovremmo chiedere: costruire un meccanismo narrativo avvincente. E, magari, un mondo che sia interessante e almeno in parte originale. Jupiter’s Legacy lo fa, mettendo in scena supereroi anomali. Che parlano con toni bassi, riflettono sulla moralità e persino la legittimità delle proprie azioni, si fanno guidare dall’empatia, onorano una sorta di antiquato codice cavalleresco. Insomma, più Biden che Trump, per dirla in termini non solo politici ma anche specificamente spettacolari.
Jupiter’s Legacy: contesto e trama
Due parole di contestualizzazione. Jupiter’s Legacy è stata sviluppata da Steven S. DeKnight (la mente dietro allo show Spartacus e ai suoi spinoff), a partire dal fumetto di Mark Millar (Kingsman; Kick-Ass) e Frank Quitely (disegnatore che ha lavorato sia in Marvel che in Dc Comics). Nel ricco cast, Josh Duhamel (Transformers), Ben Daniels (The Exorcism, House of Cards, The Crown), Leslie Bibb (Iron Man 1 e 2), Matt Lanter (Timeless).
Confesso di essermi disposto alla visione animato da un pregiudizio negativo. L’indigestione super-eroica sperimentata negli ultimi anni produce ormai effetti di leggera nausea alla minima apparizione di mantelli, costumi attillati, poteri sovrumani – apparizioni che ormai sono onnipresenti. Né il mediocre trailer che ha accompagnato l’uscita aveva migliorato le attese. E invece.
La trama: 90 anni dopo aver acquisito i propri poteri, i primi supereroi ancora vegliano sull’umanità. Incanutiti, con capelli e barbe d’argento ma ancora super-vigorosi, sono chiamati ad affrontare una minaccia misteriosa quando appare il clone di un potente nemico sconfitto molto tempo prima. Nel tempo presente vivono un rapporto conflittuale con le nuove generazioni di esseri sovrumani, loro figli e nipoti, che soffrono il confronto con gli idolatrati modelli. In parallelo, all’inizio degli anni ‘30 del Novecento, ci viene raccontata la storia di come siano diventati ciò che oggi sono – supereroi capaci delle più straordinarie imprese.
La famiglia disfunzionale e i supereroi.
Partiamo dal tema “generazionale”, che incrocia due filoni giganteschi della produzione pop americana: i supereroi da una parte, la famiglia dall’altra. Si tratta di due modelli storicamente positivi e persino pedagogici, perché incarnano entrambi – seppur in modo e su scala diversa – una serie di ideali aspirazionali tipici del discorso narrativo pop (in particolare a stelle e strisce). Da un lato la famiglia felice, nucleo sociale irrinunciabile e scrigno di tutto ciò che è giusto; dall’altro i difensori del Bene che combattono il Male senza macchia e senza paura. Negli anni, entrambi i modelli si sono progressivamente complessificati o, a seconda del punto di vista, corrotti.
In effetti è oggi sempre più arduo trovare al cinema o in tv un esempio di famiglia che non sia disfunzionale. Allo stesso tempo, i supereroi hanno iniziato a mostrare crepe piuttosto inquietanti nella propria corazza – o nel costume -, lasciandoci sbirciare i disturbi, e persino l’oscurità, che si nascondono dietro alla maschera. Era inevitabile che i due filoni prima o poi si incrociassero: collocando i supereroi in famiglie fortemente disfunzionali. È successo negli ultimi anni con l’intrigante e spassosa The Umbrella Academy, la recente e folgorante WandaVision (ascolta qui l’episodio del nostro podcast: consigli di lettura), e l’ancora in distribuzione Invincible, che racconta anch’essa – in modo piuttosto interessante – un rapporto padre/figlio in cui a complicare ulteriormente le cose ci si mettono pure i poteri che il secondo deve ereditare dal primo.
E lo fa ora Jupiter’s Legacy. Con le vicende dei due figli della coppia di supereroi più potenti. Già dai nomi i genitori non possono che incutere timore e rendere arduo ogni paragone: Lady Liberty la madre, e addirittura The Utopian il padre. Non stupisce che la figlia abbia abbandonato il destino supereroico, e si diletti di droghe; e che il figlio, che si chiama The Paragon (più chiaro di così), viva letteralmente nell’ombra dell’onnipotente figura paterna.
Un Codice per auto-limitare i superpoteri.
La situazione familiare e il passaggio generazionale non sono complessi solo per gli eredi: anche il patriarca li vive in modo conflittuale. E non tanto in termini di invecchiamento personale di un supereroe (un invecchiamento molto lento e generoso, a parte i capelli ingrigiti), ma soprattutto per l’obsolescenza cui rischia di andare incontro il suo sistema valoriale: il Codice. Norme di condotta a cui gli eroi devono attenersi: non pretendere di comandare; non minare il libero arbitrio umano; non uccidere.
Non uccidere: bizzarro e non facile comandamento per chi è chiamato a combattere contro mega-cattivi dotati di poteri formidabili, e capaci di far fuori (come vediamo in una delle prime scene della serie) gli stessi eroi. Ma questo detta il Codice, propugnato da Utopian come unico argine al rischio di una degenerazione capricciosa o autoritaria del potere, che potrebbe portare facilmente questi essere superiori a sentirsi – e farsi adorare – come dei.
Nato e imposto per decenni come strumento di auto-limitazione, il Codice è sempre più visto come una reliquia del passato: difeso strenuamente dal capo dell’Unione degli eroi, ma messo in discussione dai super più giovani. E persino da chi è vicino al patriarca. Davvero è accettabile far ammazzare uno dei protettori del mondo piuttosto che uccidere un cattivo? Non sarebbe più pratico, sicuro e in fondo giusto eliminare una volta per tutte gli arci-nemici sconfitti e imprigionati? Se lo chiede anche l’opinione pubblica, che sempre meno capisce un insieme di regole – mutuato chiaramente da un ideale codice cavalleresco medievale – pure nato per proteggere gli uomini dagli eccessi dei superuomini.
Una realtà che si è fatta incomprensibile e opaca.
Il Codice rappresenta un sacrificio, certo. La strada nobile che gli eroi dovrebbero prendere, anche di fronte alle peggiori minacce. Ma è al contempo una bussola assai necessaria anche agli eroi: l’unica certezza in un mondo sempre meno comprensibile e sempre più opaco, in cui non è più così semplice definire giusto e sbagliato, eroismo, bene e male, bianco e nero. In un sorprendente e intenso confronto con una sorta di confidente / psicanalista (che capiremo poi avere un senso ancora più forte), Utopian se lo sente rimproverare: “Vivi in un mondo che ti sei costruito tu. Ma la realtà vince sempre”.
Un Codice che impedisce di uccidere, un supereroe moralista (e profondamente religioso) che cerca chi lo possa capire, conflitti generazionali e familiari, il problema del trascorrere del tempo su se stessi e sul mondo: non sono attributi che verrebbe naturale associare al genere. Ma che ben si sposano all’idea portante, e forse più bella, della seria. I primi supereroi non sono nati tali, né hanno acquisito i poteri per caso, morsi da un ragno o colpiti da un fulmine. Li hanno dovuti conquistare, e a fatica, con una ricerca piena di sacrifici e asperità.
I poteri derivano dalla sofferenza
Di più: i poteri derivano dalla sofferenza. Non per caso la origin story, il racconto di come gli eroi abbiano acquisito i poteri, inizia nel 1929, proprio con il crollo della Borsa di Wall Street: la devastante crisi che porterà disperazione, povertà, lutti, segnando profondamente gli USA e il mondo per più di una generazione. E questo piano non si riduce a un flashback o poco più. Anzi, occupa uno spazio progressivamente sempre più importante, del tutto simile a quello della storia collocata nel nostro tempo. Anche qua, producendo un effetto di straniamento originale e innovativo: anziché sapere subito come gli eroi hanno avuto i loro poteri, e poi vedere che uso ne faranno di fronte alle sfide, qui i due percorsi narrativi procedono in parallelo.
Ci vorrà un’intera stagione per gettare luce sulla “nascita” degli eroi; e quindi, solo alla fine avremo una migliore comprensione delle dinamiche che ancora oggi, quasi un secolo dopo, i nostri protagonisti stanno vivendo.
Dolore, perdita, crescita: Jupiter’s Legacy e la nuova America di Biden
E veniamo a quell’elemento, apparentemente eccentrico, che evocavo in apertura. L’essere, questa, una serie quasi bideniana. Che c’entra il 46° Presidente degli Stati Uniti con una serie tratta da un fumetto e che parla di supereroi? C’entra per una questione di tono: è uno show che sembra riflettere bene (pur essendo ovviamente stato progettato e girato prima del Covid e delle ultime elezioni) lo stato di salute dell’America di oggi. Ferita. Disorientata. Bisognosa di cure.
Si è spesso detto: il carisma maggiore di Biden, che non è certo un oratore dotato o particolarmente capace di ispirare, è nella sua capacità empatica. Nell’aver vissuto egli stesso in prima persona lutti indicibili (la morte della moglie e della figlia piccolissima quando aveva 30 anni; poi la morte del figlio maggiore e prediletto per un tumore al cervello, nel 2015), e quindi nel sapersi relazionare alla sofferenza degli altri. Sarebbe stato questo, secondo molti analisti, il fattore vincente di Biden nella sfida contro Trump del 2020: sobrietà, decenza, empatia e (sì) i capelli bianchi contro il biondo fiammeggiante del narcisista e iconoclasta tycoon.
Comunque la si voglia vedere, Jupiter’s Legacy offre una prospettiva inusuale sul mondo superomistico. Con una riflessione piuttosto solenne, grave, a tratti crepuscolare sulla stagione dei facili “eroismi”. E un messaggio in fondo non banale: nel dolore e nella perdita c’è un dono, la possibilità di crescere.
Giudizio: non l’eroe che meritiamo, ma quello di cui abbiamo bisogno.