Una serie di accadimenti personali mi ha impedito di chiudere questo articolo subito dopo la visione de La caduta della casa degli Usher. Le cui 8 puntate mi ero divorato in poche ore all’uscita, il 12 ottobre 2023, su Netflix. Meglio così, forse: l’attesa mi ha permesso di lasciar decantare la serie capolavoro di Mike Flanagan (una distanza condita comunque dal rewatch di qualche pezzo di episodio, inizio e fine in primis). E di riflettere su aspetti che avrei probabilmente trascurato.
Nel frattempo sulla serie è stato scritto di tutto. Soprattutto sui tantissimi riferimenti a Poe, che riguardano non solo il racconto eponimo del 1839 (peraltro brevissimo: 17 pagine) ma un po’ il complesso della sua opera. Racconti, poesie, l’unico romanzo… e ancora di più, l’atmosfera generale. E persino la lingua, una lingua a tratti pienamente poetica. Fin dalle prime – e ultime! – parole che sentiamo nella miniserie: un montaggio di diverse poesie di Poe.
Ecco dunque le tesi che sono, in me, emerse a distanza, lungo le settimane. E che credo portino una dimensione ulteriore, più profonda, alla visione di questa magnifica miniserie. La prima è la riflessione sulla centralità, anzi meglio l’ineludibilità del dolore; la seconda sul peccato – sempre più contemporaneo – dell’indifferenza alle conseguenze delle nostre azioni. Cioè dell’irresponsabilità. Insieme questi due macro temi, che attraversano e innervano l’intera serie, costituiscono anche l’ossatura di un ulteriore livello di lettura: una devastante critica socio-politica al nostro mondo, al nostro tempo. È una critica che emerge, compiutamente, proprio alla fine del racconto. E quindi lasciamola lì: la riprendiamo in fondo.
Procediamo con ordine. Cos’è La caduta della casa degli Usher, come è strutturata, qual è il suo rapporto – il suo debito – con l’opera di Poe, come si intreccia agli altri lavori di Flanagan…
Cos’è la serie tv La caduta della casa degli Usher
La storia de La caduta della casa degli Usher inizia nel 2023, subito dopo che Roderick Usher, il ricco e potente CEO della corrotta azienda farmaceutica Fortunato Pharmaceuticals, ha perso tutti e sei i suoi figli – dal più piccolo al più grande – nel giro di due settimane. La sera dopo il funerale dell’ultimo dei suoi eredi, Roderick invita C. Auguste Dupin, il procuratore degli Stati Uniti che ha dedicato la sua carriera a smascherare la corruzione degli Usher, ad ascoltare la sua confessione. Nella sua casa d’infanzia, ormai diroccata, Roderick racconta a Dupin la vera storia della sua famiglia. Dall’origine della sua fortuna al suo rovescio, definitivo e senza appello. Dal trionfo alla caduta.
La serie è un mix di horror, thriller e dramma familiare, che esplora i temi della colpa, della vendetta, della follia e della corruzione. Il cast è composto da attori tra cui spiccano alcuni volti ricorrenti nelle opere di Flanagan, come Carla Gugino, Henry Thomas, Kate Siegel, Rahul Kohli, Samantha Sloyan, Zach Gilford. Già visti in The Haunting of Hill House (2018, primo folgorante lavoro televisivo di Flanagan), o The Haunting of Bly Manor (il secondo capitolo, del 2020), o nella sorprendente, ambiziosissima e coraggiosa Midnight Mass (2021). Accanto a new entry di peso come Bruce Greenwood e Mark Hamill.
La caduta della casa degli Usher è probabilmente il capolavoro di Mike Flanagan. Ed è anche un formidabile omaggio – attualizzante e insieme molto rispettoso – all’universo narrativo delle opere di Edgar Allan Poe, maestro americano ottocentesco del racconto horror, gotico, giallo. Un progetto audace, una scommessa difficile – e riuscita.
Da cosa è tratta e a quali lavori di Poe si ispira
La caduta della casa degli Usher, come discutiamo anche nel podcast, non è la semplice trasposizione del brevissimo racconto dallo stesso titolo di Edgar Allan Poe. Poche pagine (17 nella mia edizione), pubblicate nel 1839, che pure hanno tutti gli elementi caratteristici della poetica di Flanagan.
No. La miniserie è un’opera complessa che rielabora e intreccia diversi elementi tratti dal corpus letterario dello scrittore. Ogni episodio della serie si rifà a un racconto o a una poesia di Poe, come vedremo meglio nel prossimo capitolo. Ma poi è una vera cornucopia di riferimenti e citazioni, che hanno fatto la gioia degli appassionati. Riferimenti quasi invisibili come il nomignolo affettuoso con cui la nipote del protagonista chiama il nonno, Grampus, che è il nome della nave su cui si imbarca Gordon Pym, protagonista dell’unico romanzo di Poe. Fino a elementi macroscopici come appunto la presenza, tra i personaggi della storia, dello stesso Pym, qui cupissimo avvocato della famiglia Usher.
Tra i riferimenti più evidenti: il nome del procuratore C. Auguste Dupin è quello del protagonista dei racconti polizieschi di Poe “I delitti della Rue Morgue”, “Il mistero di Marie Rogêt” e “La lettera rubata”. Il primo detective moderno della letteratura occidentale. O ancora Annabel Lee, prima moglie di Roderick e fantasma-ossessione della celebre omonima poesia di Poe. E il nome dell’antagonista, Verna, scoperto anagramma di Raven, corvo.
Tra le citazioni nascoste (chi poi ne vuole ancora le trova in questo articolo): il nome della società degli Usher, Fortunato Pharmaceuticals, viene da “La botte di Amontillado” (e Amontillado è anche il nome del prezioso liquore bevuto dal protagonista). L’antidolorifico Ligodone richiama il racconto “Ligeia”. La nipote adorata di Roderick si chiama Lenore. Il doppiogiochista William Wilson. E così via.
La complessa struttura narrativa e temporale de La caduta della casa degli Usher
Ogni puntata de La caduta della casa degli Usher porta fin dal titolo il richiamo a un’opera di Poe. Basta avere una basilare familiarità con l’opera dello scrittore per accorgersene: “Una tetra mezzanotte”, titolo del primo episodio, è l’unico a non richiamare un titolo di Poe. È infatti un verso della sua più celebre poesia, “Il corvo”, che a sua volta dà il nome alla puntata finale. Così, inizio e fine del racconto rimandano l’uno all’altro fin dal titolo di puntata. E per le parole che sentiamo risuonare, quasi identiche, quelle di un medley di alcune poesie di Poe (stesse parole, ma che ovviamente ascoltiamo con spirito diverso: recitate in chiesa all’inizio, al cimitero alla fine).
Più in profondità, la puntata iniziale e quella conclusiva si richiamano e completano anche in virtù della complessa struttura narrativa e temporale della miniserie. La caduta della casa degli Usher ricorre infatti al racconto “a cornice” già sperimentato in The Haunting of Bly Manor. Un narratore che ci porta nel passato per ricostruire, qui con l’escamotage della confessione al procuratore, due distinte linee temporali: l’ascesa delle fortune degli Usher, che dagli anni ‘50 porta al fatidico 1980 (momento di svolta dell’intera vicenda), e la rovinosa caduta delle ultime settimane, con la strage dei figli del protagonista.
In mezzo, sei episodi in cui il fato dei sei eredi Usher viene mostrato ispirandosi – spesso in modo cruento – a un celebre racconto di Poe: La maschera della morte rossa, I delitti della Rue Morgue, Il gatto nero, Il cuore rivelatore, Lo scarabeo d’oro, Il pozzo e il pendolo.
Se poi vogliamo aggiungere che Roderick Usher è chiaramente, come spesso in Poe, un narratore inaffidabile, afflitto da allucinazioni e deliri…
Edgar Allan Poe: opera e influenza
Per chi vuole, è giusto dedicare un capitoletto alla figura che aleggia su tutta l’opera: Edgar Allan Poe (1809-1849). Scrittore, poeta, critico letterario, giornalista e saggista statunitense, è considerato uno dei maggiori e più influenti scrittori statunitensi della storia. Poe è stato l’iniziatore del racconto poliziesco moderno e dell’orrore psicologico, scrivendo anche storie di fantascienza e avventura. Fu un poeta romantico di valore, anticipando il “maledettismo”, poi esploso in Francia, e il simbolismo.
Le opere di narrativa più conosciute di Poe sono in stile gotico, anticipatore della letteratura horror. Tra le tematiche ricorrenti si impone la morte, specie quella di una donna amata: i suoi segni fisici, gli effetti della decomposizione, la preoccupazione di una sepoltura da vivi (in La sepoltura prematura), la rianimazione dei cadaveri e il macabro (Ligeia, Morella, Berenice…), le paure più ataviche (La maschera della morte rossa…) e il lutto (Il corvo, Annabel Lee, Morella, Ligeia, Eleonora…). In parecchi casi l’orrore o l’inquietudine derivano – più che da “veri” eventi soprannaturali come ne La caduta della casa degli Usher – da malattie mentali e fobie del protagonista, oppure da accadimenti reali filtrati dalla mente confusa del personaggio narrante (ad esempio Il cuore rivelatore, La sepoltura prematura, Berenice, Il corvo, Il gatto nero, Il pozzo e il pendolo, William Wilson).
L’influenza di Poe sulla letteratura mondiale è stata enorme. Molti scrittori hanno ammirato e imitato le sue opere, tra cui Charles Baudelaire, Arthur Conan Doyle, Robert Louis Stevenson, H.P. Lovecraft, Jules Verne, Jorge Luis Borges, e in tempi più vicini a noi ovviamente Stephen King. Al cinema, diversi registi hanno tratto ispirazione dalle sue storie – o fatto ricorso alle medesime tecniche formali e stilistiche – per realizzare film horror o thriller. Basti citare Roger Corman, Alfred Hitchcock, Dario Argento, Tim Burton.
Da King al racconto gotico, gli orrori di Mike Flanagan prima de La caduta della casa degli Usher
Due parole è a questo punto necessario dirle su Mike Flanagan, la mente dietro a questo interessantissimo revival dell’horror psicologico: capace cioè di spaventare non con trucchetti abusati ma con le armi sottili dell’inquietudine e dell’angoscia esistenziale. Costruendo opere in cui il terrore è mentale più che effettistico, e in cui ciò che veramente fa paura non sono i mostri ma gli abissi della mente. Non è un caso che autori come Stephen King, Quentin Tarantino e William Friedkin siano tra i suoi estimatori. Flanagan, peraltro, è autore pieno, di solito non solo creatore ma anche regista e sceneggiatore, o co-sceneggiatore, di tutte o molte delle puntate, nonché responsabile o supervisore del montaggio.
Il regista americano è nato nel 1978 a Salem, in Massachusetts. Cioè la località dell’ultimo grande processo alle streghe del Nord America, nel 1692. Prima de La caduta della casa degli Usher, tra i suoi film ricordiamo prodotti di genere: Absentia (2011), Oculus (2013), Ouija (2016), il buon adattamento dal romanzo di Stephen King Il gioco di Gerald, e il temerario “sequel” di Shining, anche questo tratto da King, Doctor Sleep (2019). Ancora più rilevanti sono però qui le sue opere per il piccolo schermo, le già citate The Haunting of Hill House e The Haunting of Bly Manor, e la successiva Midnight Mass, un’opera che nuovamente sembra tradurre un’influenza kinghiana. Ma senza attingere a specifici lavori dell’autore di IT, Misery e The Stand.
Flanagan in effetti è stato spesso avvicinato alle atmosfere di King, ma la cosa è solo parzialmente vera. E, appunto, una maggiore affinità la si registra proprio, in termini letterari, con l’opera seminale di Poe. E con l’horror gotico.
L’horror gotico e il Gothic Romance
L’horror gotico è un sottogenere dell’horror che si sviluppò tra il XVIII e il XIX secolo in Europa e negli Stati Uniti. Come genere, la narrativa gotica fu stabilita per la prima volta con la pubblicazione de “Il castello di Otranto” di Horace Walpole nel 1764. Caratterizzata da un’atmosfera cupa e inquietante e da personaggi ed eventi stravaganti, talvolta grotteschi, la narrativa gotica ha prosperato e si è ramificata in molti sottogeneri diversi nei secoli successivi alla sua creazione.
Il “gothic romance” è una variante dell’horror gotico che si focalizza sulla relazione amorosa tra i protagonisti, spesso ostacolata da forze oscure o da segreti inconfessabili. Mentre Walpole introdusse ciò che sarebbe poi diventato il topos duraturo del genere (castelli spaventosi, famiglie maledette, atmosfere cupe), fu con “Un romanzo siciliano” di Ann Radcliffe (1790) che nacque il sottogenere del “romanzo gotico”. Radcliffe mantenne molti degli stessi stilemi stabiliti dall’opera di Walpole, come ambientazioni isolate con fenomeni semi-soprannaturali; tuttavia, i suoi romanzi mettevano al centro protagoniste femminili che vivevano terribili peripezie mentre cercavano di salvare o trovare il vero amore. Questo elemento è ciò che alla fine separa il romanzo gotico dal suo cugino, l’horror gotico.
Il “gothic romance”, passando attraverso Jane Austen e Charlotte Brontëe, si è sviluppato poi soprattutto nel XX secolo grazie a scrittrici come Daphne du Maurier, Victoria Holt e Anne Rice.
Il progetto The Haunting: far rivivere il Gothic Romance
Il progetto di The Haunting, che abbiamo analizzato estesamente qui proprio anche in relazione a Poe, nasce appunto per attualizzare il “Gothic Romance”. Cioè quel sottoinsieme dell’horror gotico che mescolava, per dirla con le parole dello stesso Flanagan, “eccitazione e mistero, orrore e rovina”. “To haunt” in inglese significare ossessionare, perseguitare, infestare. E il cuore della serie antologica è esattamente qui: nell’idea che esistano luoghi (luoghi metafisici, luoghi dell’animo, e anche luoghi fisici) che possono produrre esalazioni nefaste. Finendo per generare traumi che plasmeranno le vite di coloro che si trovano a respirarne l’aria malsana.
Capite già benissimo come, prima ancora dell’annuncio del nuovo lavoro su Casa Usher, l’influenza di Poe fosse distinta, visibile, enorme. D’altra parte, anche nel costruire le due fortunatissime stagioni di The Haunting Flanagan ha cercato ispirazione in alcuni testi classici. La prima, The Haunting of Hill House, deriva dal romanzo omonimo di Shirley Jackson del 1959 (in italiano L’incubo di Hill House). La seconda dal celebre racconto di Henry James Il giro di vite (1898).
Flanagan fa risultare modernissimi racconti che abbracciano un immaginario apparentemente retrò, fatto di grandi case, spettri, passeggiate notturne, maledizioni. Dietro la patina del tempo e gli stilemi di genere emergono storie capaci di parlarci di noi, del nostro mondo, delle nostre inquietudini e ossessioni. Anche perché il nostro autore parte dai cliché ma li rielabora in modo originale, aggiungendo elementi di attualità e di critica sociale. Con temi come l’abuso di sostanze, la violenza domestica, l’omosessualità, il razzismo, il sessismo e persino – è proprio il caso come vedremo de La caduta della casa degli Usher – la crisi ambientale.
La caduta della casa degli Usher è il terzo capitolo del progetto The Haunting?
Potremmo in più di un senso dire che La caduta della casa degli Usher è la terza parte di una ideale trilogia antologica, quella del progetto The Haunting of…, iniziata da Flanagan nel 2018 con The Haunting of Hill House e proseguita nel 2020 con The Haunting of Bly Manor.
Le tre serie, pur autonome narrativamente, non hanno in comune solo moltissimi membri del cast, come abbiamo già evidenziato, ma anche una forte matrice – e ispirazione – letteraria. Come abbiamo visto, tutte e tre sono libere trasposizioni di romanzi e racconti classici dell’horror gotico, dominati da fantasmi, segreti, oscurità, angoscia.
Le tre serie hanno anche in comune il fatto di essere storie di famiglia, e di indagare i rapporti affettivi, conflittuali o misteriosi che legano tra loro i vari personaggi (nelle famiglie d’origine e nelle nuove relazioni che vengono istituite). The Haunting of Hill House è un’analisi psicologica notevolmente complessa del peso dei traumi sul destino futuro di chi li subisce, bambino o adulto che sia. E una toccante riflessione sul tema della morte e del lutto. The Haunting of Bly Manor ha tratti da storia romantica e tragica, con elementi da racconto di fantasmi e di possessione. La serie esplora i temi dell’amore (erotico, parentale…), ma anche il tema della memoria e dell’identità.
La caduta della casa degli Usher, mettendo in scena l’ascesa la caduta di una famiglia che coincide con un impero farmaceutico, porta ancora più in alto l’ambizione del discorso. Thriller orrorifico e drammatico, la serie sa anche essere una radicale critica sociale e politica. Che non ha paura di aprire il genere a temi come la corruzione e la crisi sanitaria.
Un impero familiare basato sul dolore: la storia vera dei Sackler
Uno degli aspetti più interessanti de La caduta della casa degli Usher è infatti la scelta di rileggere Poe in una chiave fortemente attuale. Gli Usher della serie non sono una semplice famiglia ricca, ma la famiglia-azienda che deve le sue fortune a un farmaco popolarissimo e però controverso per i suoi effetti collaterali: il Ligodone. Se questo fa suonare un campanello è perché la storia a cui Flanagan si ispira è tragicamente reale. Quella dei Sackler, una delle famiglie più ricche e potenti degli Stati Uniti, proprietaria della Purdue Pharma, produttrice dell’OxyContin. Il potente antidolorifico oppiaceo che ha causato una grave epidemia di tossicodipendenza negli Stati Uniti e nel mondo, e a cui solo in America si possono imputare centinaia di migliaia di morti e la distruzione di intere comunità.
A lungo intoccabili, i Sackler sono negli ultimi anni divenuti bersaglio prima di durissime azioni legali e poi di un vero rigetto sociale e culturale. La storia della crisi degli oppiacei, per anni derubricata, è divenuta oggetto di indagini giornalistiche, libri, podcast e infine serie tv. Prima della rilettura fantastica, allegorica e trasfigurata di Flanagan, infatti, la vicenda è stata messa in scena da due miniserie, di approccio (ed esito) diverso: Dopesick e Painkiller.
Dopesick (8 episodi, 2021, in Italia su Disney) è basata sull’omonimo bestseller di Beth Macy del 2018. La serie racconta la storia dell’OxyContin e della crisi socio-sanitaria che accompagna la sua diffusione, da diversi punti di vista: quello dei medici che lo prescrivono, quello dei pazienti che lo assumono, quello di chi lo produce e promuove e quello dei procuratori che cercano di incriminarlo. Nel cast corale spiccano Michael Keaton (Emmy 2022), Peter Sarsgaard e Michael Stuhlbarg.
La più recente Painkiller (2023, 6 episodi, Netflix) è basata sul podcast omonimo di Patrick Radden Keefe: qui il racconto della storia della spregiudicata diffusione dell’OxyContin mescola il lato tragico (quello delle conseguenze individuali, familiari e sociali della dipendenza) con una rappresentazione volutamente grottesca delle figure dei Sackler, a partire dal Richard Sackler messo in scena con bel coraggio da Matthew Broderick.
Di entrambe le serie abbiamo discusso anche in questa puntata del podcast.
Flanagan-Poe: un’attualizzazione politica
È geniale, dunque, l’idea di Flanagan di fare degli Usher una famiglia “farmaceutica” sul modello dei Sackler. Non è un ammiccamento modaiolo ma una precisa scelta drammaturgica. Che rivela la dimensione fortemente politica – come e ancora più di quella che individuavamo in Midnight Mass – di questo spettacolare apologo morale, e a cui alludevo in apertura.
Ce lo dice lo stesso Flanagan, nell’introduzione a un’edizione di racconti di Poe che raccoglie i materiali da cui ha attinto per La caduta della casa degli Usher:
“Edgar Allan Poe vedeva il suo mondo attraverso uno sguardo fosco. La vita era un’esperienza crudele e indifferente. Nutriva un disprezzo feroce per i ricchi e corrotti, guardava con disprezzo molti dei suoi contemporanei e sembrava contemporaneamente infuriato e divertito dalla cupidigia e dallo sfruttamento che guidavano la società”.
“Guardando alla famiglia Usher come a un esempio di privilegio tossico, la nostra risposta ai Trump, o ai Kardashian, o – più rilevante per noi – ai Sackler, ci siamo chiesti come Poe avrebbe giudicato alcune di queste dinastie”.
Ma c’è qualcosa di più. Gli Usher – famiglia disfunzionale da far impallidire i Roy di Succession – fondano le proprie fortune su un farmaco che, come nell’etimo greco, è sia medicina che veleno. Ma medicina per cosa? Per “togliere il dolore dal mondo”, come ripete Roderick Usher rivendicando con orgoglio una presunta missione salvifica (esattamente come il vero Richard Sackler). Siamo al punto cruciale. La caduta della casa degli Usher non è solo o tanto una critica all’ultracapitalismo più devastante (il diluvio di cadaveri che Roderick vede piovere dal cielo nel finale, vero sacrificio umano su cui è eretta la torre degli Usher). È la rappresentazione senza sconti di una società iperconsumistica e fragilissima che tutto questo consente, e anzi reclama (lo ricorda l’eccezionale monologo di Madeleine, sempre nel finale), nel nome della rimozione universale del dolore. Equivocata per la formula della felicità.
Ne parlavamo qui a proposito del cartone One-Punch Man: la nostra società, sempre più infantile, invoca l’anestesia totale, a qualsiasi prezzo. Perché rifugge la sofferenza – o persino il disagio – come se fosse la peste. E non un aspetto ineludibile del vivere umano.
La caduta della casa degli Usher, la colpa, il dolore
È nero il cuore del mondo secondo Flanagan. Nerissimo. E La caduta della casa degli Usher ha il coraggio di portarci per mano a contemplarlo, senza infingimenti, pur senza appesantire mai la sostenibilità del racconto di genere. La colpa qui esiste, eccome se esiste. Anzi, si eredita. Dall’atto scellerato di Roderick e Madeleine nasce la fortuna degli Usher e deriva, al contempo, la loro rovina: di nuovo, l’ambivalenza semantica del Pharmakon greco, insieme medicina e veleno.
La colpa primigenia si ripercuote sui figli. Avvelenando le loro vite. I loro rapporti. La loro realtà. E qui si coglie un altro aspetto della dimensione politica dell’opera di Flanagan: quel patto faustiano, per cui potrete avere e fare ciò che volete, e di cui non dovrete pagare il prezzo; ma a pagare sarà la prossima generazione, saranno i vostri eredi. Ditemi voi se non è una metafora evidente della distruzione ambientale del pianeta. L’avidità di una generazione che diventerà maledizione per quella dopo.
Non è un caso che il 1980 sia, nel racconto, la data chiave: è l’inizio del decennio reaganiano, il grande sogno – o la grande illusione – degli anni ‘80 della crescita senza fine, di un arricchimento che poteva o meglio doveva disinteressarsi delle proprie conseguenze.
Ed ecco le 4 immagini che appaiono per pochissimi secondi all’inizio del primo episodio, per così dire in esergo all’opera: il muro del bar dove Roderick e Madeleine salutano l’avvento del 1980, l’anno della svolta; il muro di semplici mattoni dello scantinato che torna come un’ossessione; il corvo; Verna, la persecutrice o meglio, forse, l’incarnazione della Giustizia. Sullo sfondo, due versi di una celeberrima canzone dei Pink Floyd, uscita proprio nel 1979: “All in all, it’s just another brick in the wall / All in all, you’re just another brick in the wall”. Alla fine, è solo un altro mattone nel muro. Alla fine, sei solo un altro mattone nel muro.
Costruendo una magnifica sinfonia che strappa dalla polvere il vecchio grande padre americano dell’orrore, Flanagan ci ricorda che, proprio come Poe, il dolore, la sofferenza e la colpa esistono al di là del tempo. E che non c’è analgesico, né oppiaceo, né oblio che li possa cancellare. Perché, semplicemente, sono parte della vita e dell’uomo – sono parte di ciò che definisce l’uomo.
Leggi la nostra riflessione su The Haunting e il gotico secondo Flanagan
A La caduta della casa degli Usher abbiamo dedicato anche un podcast: ascoltalo!