Raised by Wolves (in it. Raised by Wolves – una nuova umanità, su Sky e NOW) è una serie statunitense di genere fantascientifico, giunta al momento a 2 stagioni e 18 episodi, creata da Aaron Guzikowski (già sceneggiatore di Prisoners, film diretto nel 2013 da D. Villeneuve) per HBO. Tra i produttori esecutivi figura inoltre il nome di Ridley Scott, autore culto del genere (Alien, Blade Runner), che firma anche la regia dei primi due episodi di S1.
Senza dubbio l’immaginario di Ridley Scott è una delle chiavi per decifrare una serie ipnotica, visionaria, enigmatica come poche. L’atmosfera post-apocalittica, l’ambiguità del rapporto umano – androide, la mostruosità aliena, la complessità della figura femminile (in particolare l’aspetto della maternità). Sono tutti temi già presenti nei classici della fantascienza firmati dal regista inglese, così come in Raised by Wolves.
Essere madre e padre dopo la fine del mondo
Trama: Kepler 22 b – pianeta a 620 anni luce dal nostro (realmente identificato dalla NASA nel 2011) – in un prossimo apocalittico futuro. La Terra è stata distrutta da una guerra devastante ad opera di due grandi fazioni: Atei e Mitraici. Ovvero scienza e tecnologia contro fede e religione. In fondo, due facce della stessa medaglia umana, entrambi i gruppi attuando un cieco culto verso il proprio credo e una propaganda dell’intolleranza.
Su questo nuovo pianeta, due androidi – Mother / Madre (Amanda Collin) e Father / Padre (Abubakar Salim) – forniti di un pugno di embrioni umani, hanno la delicatissima missione di rifondare la civiltà terrestre, allevando e preservando una prima colonia all’insegna di un’atea utopia, basata unicamente sulla fede nella ragione.
I due androidi, ovviamente sprovvisti di sessualità e, almeno al principio, di sentimenti, sono però programmati per fungere da amorevole famiglia. Lui era un androide di servizio, riprogrammato da un geniale tecnico per provvedere alla colonia. Lei invece, Lamia, una micidiale macchina da guerra concepita dai Mitraici – macchina conosciuta con il nome di Necromancer / Negromante – e in seguito riprogrammata dallo stesso creatore idealista, sempre per servire la causa degli Atei.
Raised by wolves, storia di paradossi al cubo
Il nuovo pianeta manifesta presto fenomeni apparentemente inspiegabili. Sorgono nell’inabitato deserto complesse e abbandonate costruzioni artificiali, e altri antichissimi reperti tecnologici verranno in seguito nel deserto ritrovati. Quella terra sembra quindi essere stata remotamente abitata da una civiltà di tipo umano – ora però misteriosamente regredita ad una forma predatoria umanoide quasi irriconoscibile. A Madre e Padre, dell’iniziale nidiata umana, non è rimasto che Campion (Winta McGrath), unico ragazzino sopravvissuto in questo nuovo arido e infido ambiente.
Su Kepler 22 b approda una gigantesca astronave mitraica. Tra i componenti vi sono Caleb e Mary, due atei che per sfuggire ai nemici sono stati costretti ad assumere letteralmente le sembianze di una coppia di alti ufficiali mitraici: Marcus (Travis Fimmel) e Sue (Niamh Algar). L’astronave – l’Arca – porta con sé un gruppo di fanciulle e fanciulli religiosamente allevati, tra cui Paul (Felix Jamieson), il figlio dei veri Marcus e Sue. I due finti genitori si affezionano comunque al bambino.
Questo è l’incipit di Raised by Wolves e di una storia la cui natura paradossale si manifesta già molto chiaramente. Da una parte una madre androide, ex arma di distruzione di massa mitraica, che ora sposa la causa dell’ateismo, e un padre androide, elaboratore di barzellette sulla fisica quantistica, e condannato ad esperire un complesso d’inferiorità nei confronti dell’eccezionalità di lei. Con un unico figlio rimasto che, sebbene cresciuto con i dettami della ragione, ha una spiccata propensione per la fede.
Dall’altra, una coppia di atei costretti a fingersi religiosi per sopravvivere, e per far funzionare la relazione con il figlio che non hanno mai potuto avere, destinati entrambi a venire in seguito, per così dire, folgorati sulla via di Damasco…
Non solo semplici paradossi – paradossi al quadrato, volendo, se non al cubo.
https://youtu.be/rE92bDAlPXI
Funambolismo tra simbolismo misticheggiante e chiarezza narrativa
Sol è il nome della divinità mitraica in questione e il pianeta Kepler 22 b sembra essere, per molti aspetti, la terra promessa dalle antiche profetiche scritture di questa fanatica religione.
Gli eventi di Raised by Wolves evolveranno in maniera semplicemente sbalorditiva, costellando sempre più di enigmi il corso della narrazione. Come poter dunque distinguere l’aspetto razionale da quello mistico, in un mondo sconosciuto in cui imperversa una voce psichica ultraterrena che fa impazzire le persone o in cui vola nei cieli un gigantesco serpente semiartificiale?
La natura simbolica di molti elementi non sempre va a nozze con la chiarezza narrativa delle due stagioni. Lasciando volutamente irrisolti alcuni nodi centrali – innervati al contempo da fatti e da visioni. E riproponendo un’atmosfera che ricorda il migliore (e, ahimé, il peggiore) Lost.
Per inciso nella seconda appassionante stagione l’azione si sposta sulla zona tropicale del pianeta, dove è sorta una nuova colonia di sopravvissuti atei, guidata da una razionalissima intelligenza artificiale – The Trust / La Fiducia (o La Fede?). Assistiamo all’innamoramento adolescenziale di un ragazzino nei confronti di un’androide. Mentre un essere umano si trasforma materialmente nell’albero della conoscenza, che forse è un super armamento cibernetico…
Insomma, l’avventura continua su un’emozionante e acrobatica corda posta tra assurdo, simbolico e fattuale. Il tutto sempre su un precario equilibrio, che alla fine rimane in attesa di una nuova stagione, of course.
Raised by wolves: l’impossibile palingenesi umana e la contraddizione androide
E in attesa di esperire il limite – o la verità – di questa affascinante narrazione, provo a ripercorrere alcuni dei solchi da essa tracciati, da qualche parte, dentro.
Innanzitutto: impensabile e impossibile una qualsiasi forma di palingenesi umana, poiché sempre dannatamente troppo umana. L’umanità è condannata a ripercorrere in continuazione il proprio percorso, come nel mito di Sisifo. Anche se arriva un punto in cui il progresso tecnologico permette di sognare la realizzazione di un superuomo, un oltre uomo, un al di là dell’umano…
Questo al di là dell’umano dovrebbe quindi corrispondere, come intelligenza, a quella artificiale. E, come incarnazione tout court, ad un elaboratissimo androide.
Vi è però un’immensa differenza: la prima – la I.A. – esiste, per così dire, in un perenne stato incontaminato. Si limita a fare da spettatrice a ciò che accade, elaborando in continuazione strategie di reazione e relazione, da suggerire ai viventi.
L’androide invece, interagendo attivamente con gli esseri umani, sviluppa inevitabilmente tendenze non previste dai programmi originali di codifica. Finendo con il porsi qualcosa di simile al dubbio. E rischiando di arrivare ad agire contraddittoriamente (il che sarebbe l’esatto opposto di quanto ci si dovrebbe aspettare da una macchina cibernetica).
Imporre la verità in un mondo eccezionale
L’opposto, il contraddittorio, ovvero il paradosso: questo sembra essere il filo su cui Raised by Wolves è maggiormente giocato. La stessa idea base di poter controllare (guidare, crescere, allevare) il destino degli uomini è destinata a sfuggire al proprio stesso controllo. Per esemplificare massimamente: non voglio tu ti faccia del male, ti metterò allora sotto una campana di vetro. Razionale a suo modo? Forse, ma sicuramente non vitale… e non fattibile.
Ecco quello che forse è il più grande dei paradossi affrontati dalla serie: come conciliare verità e libertà in un futuro da riscrivere? Conoscenza / sistema di credenze e pragmatismo / azione? Premessa anche l’impossibilità di una tabula rasa?
Mother è programmata per dissolvere le tenebre della superstizione dalla mente dei suoi bambini; eppure i bambini hanno bisogno di bugie e finzioni proprio per poter crescere, svilupparsi, ed arrivare ad elaborare la propria verità. Come si può quindi insegnare o, meglio, imporre la verità? Scienza o religione che sia, il problema di fondo è sempre lo stesso. A prescindere dalla tabula rasa.
E vivendo in Kepler 22 b – dove l’eccezione sembra spesso essere la norma – è più che facile dover mettere a dura prova il tipo di risposte che questi stessi eventi richiedono, e di conseguenza, la propria verità. Soprattutto quando si è costretti ad essere cresciuti dai lupi.
Simbolismo ed evocazioni in Raised by Wolves
Raised by Wolves – l’evocativo titolo immagino riporti subito al Mowgli allevato dai lupi (da Il libro della giungla di Rudyard Kipling). Ovvero ad un cucciolo d’uomo (non è forse una caso l’aspetto sfacciatamente mowgliniano di Campion) destinato a crescere con genitori di tutt’altra specie – androidi, per esempio. Oppure con impostori, assassini dei tuoi veri genitori. O con un manipolo di esaltati, che ti impone preghiere, ringraziamenti e rituali per poter fare qualsiasi cosa. Con un’intelligenza artificiale, che non ha scrupoli nel sacrificare il singolo – te – per il bene comune – gli altri. Oppure con una voce nella testa che ti costringe a fare ciò che farai, senza che tu possa capire se sarà un bene o un male…
L’altro fondamentale rimando del titolo è difatti la storia di Romolo e Remo (Paul e Campion?) allattati dalla lupa, e della leggendaria fondazione della città di Roma. Sublime paradosso: rifondare la civiltà umana sarà dunque un bene o un male?
In questa nuova umanità che perpetua all’infinito il proprio vecchio sintomatico dolore, per tramite della superbia oppure della superstizione, abbonda il simbolismo di stampo mitologico o religioso. Dal serpente all’albero della conoscenza. Da Lamia (vampira ante litteram) al Sol Invictus: culto religioso preminentemente militare dei primi secoli d.C., di cui abbiamo raccontato in questo articolo sulla prima stagione di Raised by Wolves.
E poi, in totale disordine: Eden vs Hell. Ragione vs religione. Androide che può generare vs umana che non può restare incinta. Evoluzione vs involuzione. Madre che ama pietosamente i suoi figli vs madre che uccide senza pietà per i suoi figli. Delirio profetico vs delirio razionale. Bontà divina vs divinità cattiva…
A prescindere dalla fine (di questo eccezionale ossimoro), la meravigliosa sigla iniziale
Il pianeta stesso, in fondo, non è che un ossimoro: basti pensare al grande mare – per noi portatore di vita – qui totalmente acido e mortifero.
Questo gioco degli opposti, di così profondo spessore, avviene e può avvenire solo perché la fantascienza è stata in questa serie nuovamente ripensata e finemente realizzata, portando alle estreme conseguenze le potenzialità da sempre insite nel genere. Dando così vita ad un nuovo mondo in cui poter proporre nuove questioni o, meglio, riproporre questioni in modo nuovo. Cosa che, serialmente, la fantascienza non aveva ancora fatto, per lo meno in maniera così sentita e radicale (a parte forse con l’unica eccezione di Westworld).
Ecco perché i pittogrammi ritrovati nelle caverne di questo pianeta sconosciuto, che sembrano addirittura raffigurare il dio Sol, risalenti a migliaia di anni prima, sono così terribilmente eccitanti…
Per non parlare della vera e propria resurrezione di un antichissimo androide, in quello stesso pianeta sepolto e dimenticato da tempo immemore, ribattezzato Grand Mother (purtroppo in italiano Nonna, che suona davvero malissimo) – sorta di guardiano che sembra avere sviluppato una diretta connessione logica tra la preservazione dell’umanità e la sua regressione ad uno stadio animale primitivo… chissà…
Come non aspettare dunque con immensa trepidazione l’arrivo della terza stagione, non tanto in attesa di risposte, quanto alla voluttuosa ricerca dell’ulteriore prosecuzione di questa meravigliosa enigmatica narrazione fantascientifica, unica nel suo genere?
Uno show di rara intensità che, a prescindere da come andrà a finire, può comunque vantare una sigla iniziale terribilmente elegante e sofisticata. In fondo anch’essa unica nel suo genere…
Altri spunti, diversi accenti: leggi questo precedente articolo su Raised by Wolves