Dark (I segreti di Winden) è una serie televisiva tedesca di genere fantastico, creata da Baran bo Odar e Jantje Friese per una durata di 3 stagioni (2017-20) e un totale di 26 episodi.
Dark, primo show teutonico prodotto interamente da Netflix, è stata eletta la miglior serie originale di sempre della piattaforma in questione, secondo una votazione tenutasi sul noto sito di cinema e serie Rotten Tomatoes, superando diversi prodotti eccezionali come Mindhunter, Peaky Blinders, Black Mirror e Stranger Things.
Il regista Baran bo Odar e la sceneggiatrice Jantje Friese – compagni anche nella vita – sono dunque gli autori di una serie meravigliosa e monumentale, di un’intensità e di una coerenza narrativa a dir poco impressionanti, concepita fin dall’inizio come una trilogia, evitando in tal modo qualsiasi rimaneggiamento e compromesso a favore di pubblico in corso d’opera (eventualità che spesso, producendo buchi di trama e forzature d’ogni tipo, penalizza la scrittura di show altrimenti ineccepibili).
Una Twin Peaks nella Foresta Nera
Fonte d’ispirazione per questa originale coppia di autori è stata la mitica saga Twin Peaks di David Lynch, ovvero il mistero televisivo per antonomasia (cui abbiamo dedicato un’intero speciale, qui). Ed è proprio il mistero, sia come atmosfera dominante sia come contenuto narrativo, a costituire la cifra stilistica di Dark – viaggi nel tempo e mondi paralleli a parte. Tutta l’azione si svolge infatti nella piccola cittadina di Winden, nel mezzo della Foresta Nera, seguendo un arco temporale che va dal 1888 al 2052 [sic], con balzi (avanti e indietro) ogni volta di 33 anni circa. La storia, che segue attraverso i decenni le oscure vicende e gli intricati rapporti di quattro famiglie del posto – i Kahnwald, i Nielsen, i Doppler, i Tiedemann – inizia (semplicemente, verrebbe da dire) con l’enigmatica scomparsa di un ragazzino nei boschi della Germania del 2019, nelle vicinanze di una (misteriosa, verrebbe da dire) grotta.
Ogni personaggio di questo molteplice e variegato cast corale, in cui talvolta coesistono la versione giovane e quella adulta di uno stesso soggetto, è il pezzo di un immenso puzzle esistenziale e ontologico, in cui tutti i singoli destini sono tra loro intrecciati in modo drammatico e indissolubile. Tra questi spiccano le figure di Jonas Kahnwald e di Martha Nielsen, la tragica coppia di amanti condannata a inseguirsi, dimenticarsi, combattersi e perdersi per oltre centocinquanta anni.
Dark: un’opera folle e perfetta (finale compreso)
Una grotta. Una centrale nucleare. Viaggi temporali: negli anni ottanta, negli anni cinquanta, nel futuro, nell’Ottocento… Scorie radioattive, of course. La particella di Dio. Il multiverso. E su tutto, un’apocalisse (nucleare, verrebbe da dire ma sarebbe riduttivo) – incombente e al contempo già accaduta.
La trama di Dark è senza dubbio tra le più complesse che il mondo seriale abbia mai partorito, almeno fino ad ora. Per riuscire ad orientarsi al suo interno, viene più volte suggerito, e da più parti (ad es. anche da Stephen King, grande estimatore dello show), di ricorrere al sito Netflix dedicato alla serie, in cui gli eventi e le relazioni tra i diversi personaggi sono ottimamente sintetizzati attraverso schemi e diagrammi che tengono conto, di volta in volta, della puntata a cui si è giunti nella visione della serie.
Diegesi è un termine tecnico che significa linea del racconto, quando questa è oggetto di un’analisi strutturale: da questa prospettiva, quella della narrazione diegetica, Dark è un’opera folle. Ma attenzione: la sua complessità strutturale non è un punto debole, anzi è decisamente uno degli aspetti straordinari di questa storia. Perché ogni suo tassello andrà (maledettamente, verrebbe da dire) al suo posto nel quadro complessivo, una volta arrivati alla fine e solo una volta arrivati alla fine. E dunque gli enigmi che ci vengono posti in ogni situazione generale, così come in ogni dettaglio particolare, avranno la loro eccezionale e perfetta risoluzione nel finale (e solo nel finale).
Perché, cosa davvero assai rara in un dedalo narrativo come quello di Dark, questo finale è assolutamente perfetto, dal punto di vista logico e dal punto di vista emozionale. Riesce a chiudere le fila di uno straordinario discorso che contiene in sé molti altri discorsi – filosofici, scientifici, etici, sociali…
L’oscuro tempo non lineare di Dark
Attraverso il tema dei viaggi nel tempo la storia si spinge in paradossi estremi e sconvolgenti, entrando in profondità in concetti come il libero arbitrio, il fatalismo, l’identità.
Il destino dei protagonisti è legato a doppio filo con quello del mondo intero e ogni scelta individuale è inevitabilmente portata ad amplificarsi e ad avere una risonanza (nel futuro come anche a ritroso, nel passato) che trascende qualsiasi intenzione iniziale. Parallelamente, qualsiasi tentativo di cambiare consapevolmente il corso degli eventi è fatalmente costretto a naufragare in una trama già scritta e immutabilmente segnata. Trattasi del principio di autoconsistenza, sorretto idealmente dal paradosso della predestinazione: due concetti a cavallo tra la fisica teorica e la narrativa fantascientifica.
In questo buio e piovoso villaggio, sperduto nella Foresta Nera, dove sorge minacciosa una centrale nucleare, moderna e anacronistica al contempo, ha luogo una battaglia metafisica senza precedenti nella storia dell’umanità, contro l’ineluttabilità degli eventi o meglio (più poeticamente, verrebbe da dire) contro il Tempo.
Il tempo in Dark, va da sé, non è lineare: va da sé, perché in un mondo in cui si può saltare in avanti ma soprattutto tornare indietro, il tempo è una giostra circolare, in cui ‘la fine è l’inizio’ – per usare una citazione ricorrente nella serie – ovvero l’atto finale di una scena è anche l’ouverture di un’altra scena, senza soluzione di continuità. A meno che non si trovi il modo di spezzare l’eterno ritorno di questo (angosciante, verrebbe da dire) gioco.
Un grande puzzle pieno di oscuri labirinti
Un altro tema centrale in Dark è quello dell’origine: come in una sofisticatissima detective story anche qui inoltrarsi nella visione significa non solo aggiungere tasselli nella ricomposizione del grande puzzle, ma anche riuscire a metterli al posto giusto. A trovare cioè la loro provenienza, la loro origine. Come in Twin Peaks, lo spettatore è chiamato ad agire attivamente nell’esperienza della serie, a divenire insomma ‘un detective della mente’. Se la maggior parte dei prodotti seriali di stampo classico si pone con una narrazione lineare, che non abbisogna di particolare sforzo interpretativo, Dark ne è la perfetta antitesi: eventi e personaggi vanno di continuo ricollocati temporalmente e anche significativamente. Il senso dell’agire di un dato personaggio viene svelato poco a poco, e lo viene solo nella misura in cui partecipiamo attivamente a questo disvelamento, reinvestendo quanto finora abbiamo visto di nuovi significati, in un incessante lavoro di riscrittura della nostra visione.
L’ermeneutica dello spettatore che ho fin qui tracciato non deve scoraggiare, anzi: è ulteriore elemento di ricchezza di questa meravigliosa serie, che richiede non solo un’empatia di tipo emotivo ma anche di carattere logico. Addentrarsi nei labirinti di questa storia sortisce come effetto un incantesimo totale, che ci coinvolge mentalmente e sentimentalmente poiché non solo godiamo ma anche partecipiamo della costruzione del mondo, o dei mondi, di Dark.
Dark: eccellenza onirico teutonica
Lo show tedesco sviluppa pienamente il potenziale insito in una narrazione seriale, in qualsiasi narrazione seriale – che proprio in questo si distingue dal film – ovvero il gioco del tempo. La maggiore quantità di tempo a disposizione, avendo puntate e stagioni per raccontare una storia, permette di delineare in profondità caratteri e situazioni. In Dark questa profondità diviene talmente abissale e vertiginosa da annientare il tempo presente, mostrandone magistralmente la sostanza – che è quella di cui sono fatti i sogni (Shakespeare, verrebbe da dire).
“Un po’ come in Matrix” – questa l’espressione che Jonas e Martha usano per spiegare l’un l’altra le strane interferenze che la loro realtà sembra di colpo avere. L’ironico e coraggioso riferimento al leggendario film americano ci riporta ad un importante consapevolezza: questa è una produzione completamente europea. Val la pena sottolineare in velocità, dunque, l’assoluta eccellenza non solo di sceneggiatura e regia, ma anche di cast, scenografia, colonna sonora (a cura di Ben Frost) in cui spicca la sigla iniziale “Goodbye” di Apparat… Perché sottolinearlo? Perché questo show è la dimostrazione di come di fronte agli americani – e alle loro multimilionarie impeccabili produzioni – l’Europa sia in grado di giocare in modo sublime la partita, usando le proprie carte.
Per concludere: una serie unica e totalizzante
Per concludere, in sintesi: da Schopenhuaer ai dejà-vu, dallo split screen all’ermetismo, dal nastro di Moebius alla triquetra, dal loop alla mise en abyme, da Lost a The OA, dalla predestinazione all’autodeterminazione, dalla fantascienza alla caverna più o meno platonica… Dark è una serie fenomenale, totalizzante, unica. Un viaggio di sola andata, esaltante e struggente, verso un ignoto che starà a voi, e solo a voi, scoprire e determinare. In ogni labirinto che si rispetti, si nasconde un Minotauro. Entrarci non basta per scovarlo. In questo senso, Dark è un’assoluta sfida… ce ne fossero.
(E mi è anche piaciuta, mi verrebbe da aggiungere.)
Twin Peaks come punto di origine di Dark: leggi qui il nostro articolo su come la serie di David Lynch ha cambiato la tv!