Dopo Assassinio sull’Orient Express (2017), Kenneth Branagh torna, davanti e dietro la macchina da presa, con un altro classico di Agatha Christie: Assassinio sul Nilo.
Anche questa volta Branagh raduna un gruppo di star e si mette a capo della brigata interpretando lui stesso Poirot.
Mentre però Assassinio sull’Orient Express resta un lungometraggio intrigante, scorrevole, scenicamente bellissimo senza rinunciare al lato teatrale caro al regista e dove le “star” coinvolte danno il meglio di loro (ricordiamo Johnny Depp nei panni di un gangster), in Assassinio sul Nilo la brigata di attori rimane imprigionata in un Egitto fatto di cartone ed effetti speciali tristissimi. Nonostante il cospicuo budget e i due anni di post produzione.
Le star che non bastano a salvare Assassinio sul Nilo
Peggio, la trama (nell’originale molto avvincente: l’assassinio di una ricca ereditiera durante il suo viaggio di nozze sul Nilo dove tutti gli ospiti della crociera, venuti per celebrare gli sposi, risultano sospetti) si dipana a fatica tra infiniti primi piani di sguardi presuntamente intensi delle “star” e un’indagine totalmente priva di ironia e acume (e stiamo parlando di Poirot!).
Chi sono queste star che si muovono in un Egitto fintissimo e sbraitano senza sosta?
Abbiamo la stella di Sex Education, Emma Mackey, che ci ripropone per tutta la durata del film la stessa espressione dubbia (è buona o cattiva, angelo o demone?) che l’ha resa famosa. La Mackey ha qui il ruolo dell’ex fidanzata del marito dell’ereditiera, interpretata dalla neutra (non possiamo dirne nè bene nè male) Gal Gadot.
Disastroso invece il marito incarnato da Armie Hammer, ancora convinto che singhiozzare forte e fissare tutti con statica intensità sia la chiave di un’interpretazione convincente.
Sophie Okonedo (qui nel ruolo di una cantante jazz) magnifica come sempre, riesce a trovarsi un angolino dove esibire ancora una volta il suo talento.
Delusione Branagh per un film nato vecchio
Ma chi ci lascia di sasso in Assassinio sul Nilo è Branagh che vaga intontito cercando la soluzione tra i suoi baffi esageratamente grandi (il perchè di tanta baffutaggine potete scoprirlo nel prologo strappalacrime).
Sta davvero interpretando il famoso ex funzionario della polizia belga? Un personaggio – come abbiamo raccontato in questo articolo dedicato alla sua celeberrima versione televisiva – assai eccentrico, un po’ fanatico, plausibilmente ossessivo-compulsivo e adorabile proprio perché non invischiato nella società che indaga?
Si ha la sensazione che più che al genio di Poirot, di cui qui cerchiamo invano le tracce, Branagh abbia mirato banalmente a far quadrare i conti della trama. Dimenticando però che la riuscita di un film di “murder mystery” non sta nella soluzione del crimine ma nel saper tenere vivo e divertente l’intrigo.
Inoltre questo prodotto (la definizione è calzante) è la prova che un certo tipo di cinema è, se non già morto, almeno agonizzante. E i disastrosi tentativi di rianimare una pellicola “da Oscar” radunando quattro attori celebri con un budget faraonico irritano sia la critica che il pubblico.
Assassinio sul Nilo ci dimostra alcune cose. Non bastano le sempre più appannate star hollywoodiane. Non bastano effetti speciali triti e dozzinali. E non basta, soprattutto, la logica “nostalgica” da grandi classici senza idee.
Nell’età dell’oro della televisione autoriale di qualità, puntare stancamente sul sicuro non può più bastare.
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Leggi anche il nostro articolo sulla leggendaria serie tv Poirot
“… Poirot è una di quelle serie, in un certo senso, fuori dal tempo – anche per la particolare patina della pellicola su cui è girata. È così conosciuta e, come dire, famigliare che scriverne potrebbe sembrare un’operazione assolutamente superflua. Al di là della mia personalissima passione per il protagonista, qui sublimemente interpretato, per il suo amore per il rigore e la simmetria e per il suo disprezzo per tutto ciò che, in opposizione, è umano troppo umano, vorrei proporne quella che credo esserne un’inedita lettura.
Quella di un detective geniale che è anche un outsider sociale – che si riscatta dalla propria marginalità grazie al suo avere sempre ragione. L’insolita rappresentazione di una parte nascosta di tutti noi: quella che sente di non appartenere del tutto a questa caotica realtà e il cui sguardo lucido, implacabile e oggettivo riesce a portare ordine nel caos della suddetta realtà, se non addirittura a risolverne l’enigma… “
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