C’è qualcosa di più beffardo che morire durante la propria festa di compleanno? Sì: continuare a farlo. Se odiate l’attrice Natasha Lyonne (Orange Is the New Black, American Pie), Russian Doll è la serie che fa per voi: nella prima stagione (8 episodi) potete vederla schiattare in innumerevoli modi. Io ne ho contati 18. Prodotto e distribuito da Netflix a inizio 2019 con buon successo, a metà tra commedia e dramma, lo show è stato creato, scritto e diretto in larga parte da un trio tutto femminile. La già citata Lyonne, strepitosa nel ruolo principale. Amy Poehler (protagonista della popolarissima sitcom Parks and Recreation). Leslye Headland (commediografa e autrice).
Ci sono poi voluti oltre tre anni per arrivare a una seconda stagione, nel 2022. Con un prosieguo che rende il tutto ancora più complesso. E profondo. Ma andiamo per ordine.
La storia inizia dove la maggior parte finisce: con una morte. La notte del proprio trentaseiesimo compleanno, Nadia Vulvokov muore, investita da un’auto. Per ritrovarsi subito nello stesso esatto luogo e momento in cui l’avevamo conosciuta, in apertura di puntata: davanti a uno specchio, nel bagno dell’appartamento newyorchese che ospita la festa in suo onore. Quando il misterioso accadimento si ripete, seppur in modo differente, protagonista e spettatore si trovano nella stessa condizione. Capire cosa stia succedendo, e cosa Nadia potrà cercare di fare per spezzare l’angosciante loop morte / rinascita.
Non racconterò di più della trama della prima stagione di Russian Doll. Priverebbe del piacere di farsi sorprendere da un intreccio che ha il suo motore nella costante dinamica tra ripetizione e variazione. E il cui significato emerge dall’attrito tra una realtà apparentemente immutabile (Nadia “rinasce” sempre nello stesso luogo e tempo) e due fattori che ne minano la solidità: le scelte diverse che la protagonista via via effettua; l’entropia che corrode il mondo.
La seconda stagione
Come detto, la seconda stagione di Russian Doll complica ancora di più il quadro. Non facciamo spoiler troppo pesanti, ma se non volete rovinarvi nessuna sorpresa saltate al prossimo capitolo.
Dopo il “risanamento” della timeline della prima stagione sono passati quattro anni. Nel 2022, Nadia scopre che un treno della metropolitana di New York le consente di viaggiare nel tempo fino al 1982, e ritorno. Nell’82 Nadia si trova intrappolata nel corpo di sua madre, Nora, che è incinta di lei. Se l’occasione pare propizia per sanare un vecchio torto legato al furto di 150 monete d’oro, è però inevitabile finire risucchiata in un piano temporale – e in una storia – che è quella di sua madre. La cui ombra rappresentava, nella prima stagione, un potente fattore di crisi e di irrisolta angoscia per la nostra protagonista.
Ma non basta. Alan, il compagno di loop temporale della prima stagione, usa anch’egli il treno. E finisce nella Berlino del 1962, nel corpo della propria madre. Vivendo anche lui esperienze potenti e scioccanti, che lo aiuteranno a comprendere il passato e riconnettersi al presente.
Pensate sia già troppo? Non per le autrici. Nadia, nella sua ricerca della smarrita eredità familiare, viaggia ancora più indietro nel tempo. Fino al 1944, su un treno ungherese – nell’Europa sotto il giogo nazista – su cui i perseguitati ebrei hanno cercato di nascondere i propri beni. Tra questi, la giovane nonna di Nadia…
Le misteriose due stagioni di Russian Doll
L’illustrazione della trama della seconda stagione, seppur per sommi capi, ha fatto capire che bestia complessa sia Russian Doll. Nel senso: nessuno si aspettava realmente che una storia già pazzesca come quella della prima stagione potesse o volesse proseguire. Se mi aveste chiesto all’epoca, avrei storto il naso: una seconda stagione? Non serve, passo. Beh, sarebbe stato un errore.
Rispetto alla prima parte, la seconda stagione di Russian Doll ha una trama ancora più complessa e articolata, con diversi personaggi che vivono in loop temporali paralleli e interagiscono tra loro. Tornano temi già esplorati: la vita, la morte, l’identità, il libero arbitrio. Ovviamente cambia la premessa narrativa: là quella del loop temporale, della eterna ripetizione dell’identico (anche se nel procedere delle puntate la stessa rigidità si disfaceva progressivamente); qua quella di un movimento complesso avanti e indietro nel tempo, secondo una grammatica immaginifica ma chiara, non allucinatoria. Ma non solo.
La scelta di ampliare il raggio d’indagine, raccontando non solo la vicenda di Nadia ma anche altre, e di esplorare in autonomia personaggi che già conoscevamo in relazione alla protagonista (Alan per primo), si traduce in un intricato intreccio di storie che si sovrappongono e si intersecano. Mentre nuove dimensioni narrative e filosofiche prendono piede. E lo stesso spirito beffardo della prima stagione, amaro ma ironico, si avvolge di coloriture ancora più dark.
La filosofia del tempo e della morale in Russian Doll
Russian Doll è una serie che non ha paura di affrontare temi filosofici complessi, come la natura del tempo e della morale. Certo, pur sempre nelle modalità di una black comedy, ma con una profondità e una serietà quasi caparbia, che è raro trovare in prodotti simili (ne parliamo nel prossimo capitolo). Anche perché un assunto narrativo come quello della prima stagione (e poi della seconda) di solito è buono per un film: lo si inventa, lo si esplora in tutti i modi, poi si chiude. Farci i 15 episodi distribuiti nelle due stagioni è una sfida differente.
È celebre l’efficacissima non-definizione del tempo offerta da Sant’Agostino nelle sue Confessioni, scritte alla fine del IV secolo d.C. “Che cos’è dunque il tempo? Se nessuno me lo chiede, lo so; se voglio spiegarlo a chi me lo chiede, non lo so più”. Russian Doll mette in discussione la concezione lineare del tempo e suggerisce che il passato, il presente e il futuro siano in realtà interconnessi in modo più complesso di quanto siam solito pensare. Inoltre, la serie esplora il concetto di libero arbitrio secondo una prospettiva inusuale: suggerendo che gli esseri umani siano in grado di fare scelte solo entro certi limiti, derivanti dalla loro situazione di vita.
Stessa cosa sulla morale. La serie è letteralmente incentrata su personaggi che devono confrontarsi con le loro scelte passate (che ne funestano o rendono invivibile il presente) e cercare di trovare un senso nella loro esistenza. In particolare, la protagonista Nadia deve affrontare i traumi del suo passato e cercare di superare solitudine e alienazione. Sotto la scorza sarcastica e pungente, Russian Doll ha una sua “morale”: la felicità e il senso della vita possano essere trovati solo attraverso l’interazione con gli altri e la costruzione di relazioni significative.
Ricomincio da capo, la Divina Commedia, The Good Place
Uno degli elementi distintivi di Russian Doll è il suo umorismo paradossale, amaro e surreale. Un umorismo complesso, inestricabilmente filosofico, ovviamente concettuale. Momenti comici, inattesi, emergono dall’incertezza; viceversa, si sciolgono nell’angoscia. Al centro del racconto, in fondo, c’è l’assurdità della vita. La sua irriducibile complessità. La beffarda casualità dei mille accidenti che poi si cementano e diventano destino.
È inevitabile, almeno nella prima stagione, non pensare a un film come Ricomincio da capo (1993), gioiellino scritto e diretto da Harold Ramis. Ricordate? C’era Bill Murray giornalista depresso alle prese, in una comica e insieme snervante ripetizione dell’identico, col “giorno della marmotta” che dava in originale il titolo al film (Groundhog Day). La prigionia temporale diventava poi, grazie all’interazione con il personaggio femminile di Andie MacDowell, occasione per migliorare se stesso e riconciliarsi con la propria vita.
C’è anche chi ha voluto trovare, nel percorso in fondo spirituale di Nadia, riferimenti al più grande viaggio morale della cultura occidentale: la Divina Commedia di Dante. Non so. È una tesi suggestiva ma per me non particolarmente convincente, o interessante, e quindi vado oltre. Almeno brevemente menzionando quello che invece è una sorta di complementare comico, più leggero ma non meno filosoficamente accorto: The Good Place.
Della brillantissima sitcom di Michael Schur abbiamo scritto in questo articolo (e discusso allegramente in questa puntata del podcast). Proprio come Russian Doll, anche questa serie ha il coraggio di affrontare nei modi di una commedia temi complessi e profondi: la morte, la morale, il rapporto tra la libertà di scelta e un cieco determinismo delle nostre vite. Dateci un’occhiata, ne vale la pena.
Russian Doll: perché vederla (e rivederla)
Russian Doll sa essere molte cose pur nella brevità di 15 puntate da meno di 30 minuti ciascuna. È una commedia nevrotica e grottesca ambientata nel sottobosco hipster di una New York stazzonata e arrochita come la protagonista. Ma è anche una nervosa riflessione esistenzialista. Si ride, e molto, ma è un ridere amaro, dark come l’umorismo ebraico di cui la serie è molto debitrice: Nadia, proprio come la sua autrice / attrice Natasha, è nipote di sopravvissuti dell’Olocausto, e il tema affiora più chiaramente e potentemente nella seconda stagione, fino al fatidico ritorno al 1944, nel cuore di tenebra dell’Europa occupata dai nazisti.
Per poi raggiungere, nella parte conclusiva di entrambe le stagioni, profondità inattese.
“Morire è facile. È vivere che è difficile”, dice la frase di lancio dello show. E d’altra parte: “Life is a killer”, ricorda ad ogni rinascita il manifesto con il volto di William Burroughs che campeggia su una parete dell’appartamento, nel primo capitolo.
La forma è quella di una mise en abyme vertiginosa e geniale. Nadia è una programmatrice informatica, specializzata in videogame: proprio come in un videogioco, si muore e si ricomincia dallo stesso punto. O si viaggia avanti e indietro nel tempo, attraverso varchi e portali. E naturalmente, la bambola russa del titolo altro non è che la matrioska: e ogni nuova versione di Nadia che viene al mondo è più vicina al proprio nucleo originale, più consapevole, più sapiente; ma al contempo più piccola, più preziosa, più fragile. L’infinita serie delle morti non lascia ferite sul corpo, ma cicatrici profonde sulla psiche: la sua, la nostra.
Show beffardo, brillante, disturbante, sorprendente, acidamente divertente. Da vedere: e, ovviamente, rivedere.
Un’altra riflessione filosofica sulla morale e la morte: ascolta il podcast su The Good Place