C’era voluta davvero tanta, tanta disciplina per costringermi, nel 2021, ad arrivare fino in fondo alla prima stagione di Invasion, su Apple TV+. Al punto che, quando nel 2023 è uscita la seconda stagione, ho continuato a rimandarne la visione. Ripromettendomi a più riprese di guardarla. E trovando sempre nuove scuse per non farlo. C’era anche, va da sé, la speranza (flebile) di un colpo di reni. Qualcosa che desse soddisfazione da un lato alle alte aspettative che avevano annunciato e accolto questa serie fantascientifica. Dall’altro al cospicuo investimento della casa di Cupertino: 200 milioni di dollari, che non sono poca cosa per la sola prima stagione di una serie tv!
Si sa: l’ottimismo e la speranza sono spesso cattivi consiglieri (in tv, e forse nella vita). Unitamente a quella particolare forma di “senso del dovere” che colpisce sempre più frequentemente lo spettatore contemporaneo. Cioè l’idea che avendo investito già tanto su una serie (in termini di tempo, di energia, di disponibilità emotiva) uno non possa mollarla così. Sarebbe una perdita secca! Proviamo a guardarne ancora, magari migliora!! Un atteggiamento, va detto, che assomiglia pericolosamente alla fallacia dello scommettitore…
Bene. Ora che mi sono costretto non solo ad affrontare la stagione 2 di Invasion, ma anche a guardarla tutta, non posso che ribadire il giudizio formulato nel 2021, dopo il suo primo capitolo. Anzi, rafforzarlo. E cioè, all’osso, questo: puntata dopo puntata delle 20 che (per ora, ahinoi) compongono Invasion, la vera battaglia (epica) non era quella degli umani contro l’alieno invasore, che sarebbe (in teoria) la trama dello show. Ma quella mia personale per resistere al sonno e riuscire appunto a tagliare il traguardo finale.
E dire che l’eccitazione, in partenza, c’era tutta.
Le forti attese che circondavano Invasion
Le ragioni per cui fossero alte le attese su Invasion, nel 2021, sono presto dette. Ovviamente la robusta produzione Apple alle spalle. Poi la caratura non banale, specie nel genere d’azione e superomistico, di Simon Kinberg, co-creatore dello show con David Weil.
Kinberg è uno sceneggiatore e produttore che si è fatto le ossa soprattutto, ma non solo, nel franchise di X-Men, partecipando a vario titolo a numerosi progetti. In particolare, ha nell’ultimo decennio prodotto il bel X-Men: First Class, (2011), e scritto e prodotto l’ottimo X-Men: Days of Future Past e poi X-Men: Apocalypse: cioè i tre interessanti film che sono il cuore del notevole reboot della saga. Ma vale la pena citare la sua partecipazione come produttore a fim molto belli come The Martian di Ridley Scott e Assassinio sull’Orient Express di Kenneth Branagh. Insomma, un nome che dava speranza. Poi, molto strombazzata era la presenza di un volto popolare ed esperto come quello di Sam Neill (più che altro uno specchietto per le allodole, come si vedrà già nel primo episodio).
Altri elementi che giustificavano l’attesa verso Invasion. Il budget, già citato: 200 milioni di dollari per 10 episodi, 20 milioni a puntata. Per dare un riferimento: l’ultima stagione di Game of Thrones, la più costosa, spendeva 14 milioni di dollari a puntata. Tradotto: una produzione assai ricca, ideale per una grande storia di fantascienza giocata a livello planetario.
E non solo perché al centro del racconto c’è il sempreverde tema degli alieni che arrivano concupendo con violenza il nostro bel pianeta. Ma planetario anche perché Apple TV+, nel produrre Invasion, ha pensato bene di ambientare la storia in quattro Paesi per altrettante aree del mondo. Stati Uniti ma anche, con uguale importanza, Giappone, Gran Bretagna, Afghanistan.
4 Paesi, 4 gruppi di personaggi, un solo risultato: la noia
In Invasion troviamo appunto quattro diversi ambienti per quattro gruppi di personaggi, tutti chiamati a confrontarsi con l’orrore strisciante dell’invasione eponima. Di quattro diverse appartenenze etniche.
C’è la famiglia siriana negli States: matrimonio in crisi ma due figli piccoli da portare in salvo. C’è il militare afro-americano nel teatro afgano, che deve cercare, solo sopravvissuto del suo plotone, di tornare a casa. Ci sono i ragazzini britannici che l’invasione aliena sorprende in gita scolastica in aperta campagna, soli e senza adulti. C’è la tecnica dell’agenzia spaziale nipponica che lotta per scoprire cos’è successo alla astronauta di cui è innamorata, scomparsa nello spazio con l’arrivo degli sgraditi visitatori.
Un modo intelligente e intrigante di mostrarci la reazione del mondo all’invasione? Solo sulla carta.
Perché poi nella realtà emerge quasi subito un problema non da poco. La noia. Ma una noia rotonda, tridimensionale, assoluta. Ti guardi il primo paio di puntate e dici: ah, che scelta interessante non mostrare nulla dell’invasione aliena e concentrarsi sulle storie umane. Si starà creando attesa e simpatia, per poi spalancare le porte dell’inferno.
No. Alla fine delle prime 10 estenuanti puntate la cosa più interessante e più bella di Invasion saranno stati i fascinosi titoli di testa accompagnati dal tema musicale del fantastico Max Richter. Che sembra collocare la serie tra le ambizioni di Arrival e quelle di The Leftovers. Ma dietro il fumo non c’è nulla. Solo la lentezza esasperante con cui tutto si dipana. Tra sequenze interminabili per far avanzare l’azione di poco o nulla. E la fatica di ricordare ciò che è successo nelle puntate precedenti.
Fino a che la noia assoluta – una noia che ho personalmente vissuto come palpabile tormento fisico – cede il passo, nel finale della prima stagione, al ridicolo pieno.
Perché Invasion è brutta / 1: personaggi sciatti e cattiva scrittura
Partiamo dalla stagione 1 di Invasion. La scelta dell’approccio corale, potenzialmente interessante, viene subito minata da un problema gigantesco: di questi personaggi non ce ne frega niente. In parte l’effetto deriva da una strategia incomprensibile: far fuori, nelle prime due puntate, quelle figure che ci avevano fatto entrare nella storia. Col risultato di inibire lo spettatore dall’affezionarsi alle successive storie che gli verranno presentate.
Forse ispirata dall’ambizione di dar vita a una epica mondialista, Invasion ha pensato che bastasse il casting multietnico a sostituire storie e personaggi con cui entrare in relazione, per cui trepidare e voler proseguire la visione. In parte è colpa degli attori e della loro direzione. Volti largamente inespressivi, sguardi persi nel vuoto. Prove attoriali davvero mediocri, a tratti irritanti. Con la parziale eccezione, nel primo capitolo, solo del giovanissimo Billy Barratt (il più giovane vincitore di un Emmy, a 13 anni, per il film Responsible Child del 2019). Nei panni di un ragazzo inglese che ha una misteriosa connessione mentale con gli alieni.
Ma soprattutto è un problema di scrittura. Una scrittura che gioca malissimo le proprie carte, smarrisce ripetutamente il bandolo della matassa, non sa farci interessare ad alcun carattere. E riesce a rendere incredibilmente priva di qualsiasi interesse, non si sa come, nientemeno che un’invasione aliena.
Una cosa è fare teasing, differire il piacere. Altra cosa è limitare al piano quasi solo verbale il racconto dell’invasione del titolo. Senza sviluppare davvero né i livelli alti (la reazione del mondo, dei governi, degli eserciti) né quelli bassi (perché i personaggi agiscono in un costante vuoto pneumatico emotivo). E così come l’invasione non viene realmente mai mostrata, e gli alieni appaiono solo tardi e in modo assai deludente, lo stesso accade col finale di stagione.
Capitolo BONUS e SPOILER: l’orrendo finale della prima stagione
Il finale della prima stagione di Invasion è qualcosa di grottesco. Al punto tale che ve lo raccontiamo, nella speranza vi scoraggi dal guardare lo show. Però, se proprio non volete anticipazioni, saltate il capitolo!
[INIZIO SPOILER]. La soddisfazione elementare che ci è stata più volte negata (innamorarci di un personaggio; vedere gli alieni che arrivano e sfasciano tutto; vivere un’angoscia globale) ci elude anche in conclusione.
Alla chetichella come sono arrivati, i nemici se ne vanno. Basta un attacco nucleare (raccontato, non mostrato) contro il loro invisibile centro di comando, individuato grazie alla riproduzione di Space Oddity di David Bowie da parte di un’astronauta morta. O almeno credo che sia questo ciò che accade. Perché – confesso – la visione del nono episodio è stata costellata di continui rewind, causati da una sonnolenza ormai invincibile. Potrei essermi immaginato delle cose, boh.
In ogni caso, la distruzione degli alieni avviene in un attimo, fuori scena, alla fine della nona puntata. La decima, come è facile immaginare, è ancora più stremante, priva della pur labile motivazione narrativa del resto di Invasion. Le ultimissime scene fanno più o meno risorgere un personaggio morto, che in una dimensione onirica incontra un altro personaggio che non ha mai visto prima. E poi ci mostrano, ovviamente, il ritorno della minaccia aliena, prodromica all’incubo di una seconda stagione. [FINE SPOILER]
La stagione 2 di Invasion: passo avanti? No
Arriviamo così al secondo capitolo. La stagione 2 di Invasion registra un leggero incremento nel giudizio critico medio (Metacritic, Rotten Tomatoes). Ma a fronte di una più ridotta quantità di recensioni: cioè le nuove puntate sono state recensite solo da critici che per qualche ragione avevano interesse a proseguire lo show e a riparlarne.
Quali sarebbero gli elementi di positiva crescita? Beh, per prima cosa si vedono gli alieni. Che uno pensa sia un’ovvietà, visto il tema della serie, ma invece no. A differenza della prima stagione qua gli alieni ci sono, li vediamo inseguire gli umani, assistiamo persino a interazioni di varia natura. Poi, i percorsi dei diversi personaggi finalmente si intrecciano. In parte per l’incontro fisico di alcuni dei protagonisti (il soldato americano, rientrato in patria, si imbatte in ciò che resta della famiglia siriana), in parte per il misterioso sviluppo di connessioni “mentali” (la tecnica spaziale giapponese, il ragazzo inglese…). Entrano pure in campo nuovi personaggi, ad aumentare lo sforzo multietnico (la capa africana della coalizione terrestre, il geniale e famosissimo tech billionaire indiano, la dottoressa francese…).
Ma tutto questo non cambia l’equazione. La noia persiste, infinita. Così il fastidio. Fino a diventare rabbia. Mi sono trovato, a più riprese, a inveire contro lo schermo (e contro me stesso, per il supplizio che mi stavo infliggendo).
Partiamo dagli alieni. Niente ha senso. Cosa sono? Come funzionano? Che diavolo è la loro “proiezione mentale”, quella studiata tra i resti di una nava abbattuta? Perché, avendo a disposizione una tipologia di combattenti pressoché inarrestabili, li mettono in campo solo molto avanti? Per quale assurda ragione alcuni umani sono in grado di sintonizzarsi con – boh, le “frequenze mentali” degli alieni, al punto da poterli bloccare o uccidere? Lo sa Dio.
Perché è brutta / 2: l’inettitudine della messa in scena
Ma non è che sia un mistero intrigante. È solo sciatteria. Approssimazione. Minimo sforzo. Elementi buttati lì a caso, in un trionfo dell’inverosimiglianza che dovrebbe risultare comico, ma che invece suona terrificante nel momento in cui ci accorgiamo che anche la nostra “realtà”, ormai, è così. Cialtronesca e incredibile.
I soldi del ricco budget, visibili in location, effetti, scenografie, svaniscono come neve al sole di fronte alle inconsistenze della trama. Sprecati disastrosamente dall’inettitudine di una messa in scena che è in primis colpa degli autori. Avete presente gli sceneggiatori di Boris, i cui personaggi erano tutti descritti col medesimo aggettivo, “basito”, richiamabile col tasto F4 per far prima? Ecco, uguale. I personaggi di Invasion sono costantemente basiti, da tutto, da ogni cosa che accade. Tutti con la bocca aperta, sempre. A partire dalla tremenda Golshifteh Farahani (la madre siriana), che ansima letteralmente ogni volta che succede qualcosa, anche se non ha compiuto alcuno sforzo fisico in scena, per veicolare allo spettatore stress e pericolo.
Proseguendo con la costante dei personaggi di contorno (tecnici, militari, ricercatori…) che guardano monitor, digitano a caso sulla tastiera, e poi esclamano “ma come è possibile?”, “non ho mai visto una cosa del genere”, “non ci posso credere”. Ovviamente sempre tutti con la bocca spalancata e la faccetta appunto basita. Tutti personaggi scritti da bestie, mollati lì con battute raccapriccianti da dire, azioni insensate da fare.
Fino al colpo di genio: come potranno i terrestri resistere allo strapotere alieno? Con la magia, apparentemente. Visto che i “poteri mentali” esibiti non da uno ma da diversi personaggi, ogni volta che serve a portare avanti la trama, altra spiegazione non sembrano avere. E sono tutti resi con luci mistiche, fluttuazioni dell’etere, grandi sforzi di concentrazione cerebrale. Vabbè!
Lo spettro della stagione 3 di Invasion (e il tema della colpa)
Giungo alla fine di questo pezzo stremato. Proprio come mi era successo al termine della seconda stagione (e, prima ancora, di quella iniziale). Uno stato di prostrazione alimentato ulteriormente dalla ferale notizia che sì, una stagione 3 di Invasion ci sarà. Anzi, a quanto pare è già in produzione.
Che posso dire, ancora? Ultimamente serie tv e film ci fanno sempre più sentire in colpa per la fine del mondo che raccontano. Che sia per cause naturali o per le nostre azioni, questo il messaggio, ci meritiamo l’apocalisse. Un tema che abbiamo esplorato qui a proposito di film e show televisivi sulla pandemia.
In Invasion la cosa assume una forma diversa. Se la colpa dell’umanità è di essere diventata stupida, irrazionale, incapace di qualsiasi scelta sensata, forse ci meritiamo la punizione aliena. O, in un altro senso: se alla fine ci facciamo andare bene tutto, pure una sbobba indigeribile come questa, terribilmente noiosa, ombelicale, incapace di raccontare una storia avvincente o anche solo decente, beh, forse ci meritiamo pure Invasion.
E non è che io possa dirmi innocente. So già che, quando la nuova stagione uscirà, prima o poi – dopo aver provato a resistere, dopo essermi maledetto mille volte, finirò per vederla. Sarà hate watching duro e puro, d’accordo. Ma pur sempre watching.
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