I furbetti del quartierino è un documentario di Alessandro Garramone e Carlo Altinier, per la regia di Nicola Prosatore: una produzione originale A+E andata in onda su History Channel (Sky) in due puntate lo scorso settembre (2021).
Trattasi della surreale e travagliata stagione, intorno all’estate del 2005, contrassegnata dalle funamboliche scalate di Ricucci, Fiorani, Consorte & company. Un’inedita compagine di affaristi ribattezzata dalla stampa, per l’appunto, “i furbetti del quartierino”.
Espressione estrapolata da una conversazione telefonica dello stesso Ricucci, intercettato proprio in quel periodo, e da allora entrata a far parte degli italici modi di dire, con il significato di: gruppo costituito da individui che si considerano astuti e potenti ma che non riescono a dissimulare la loro grettezza provinciale (ci è sembrato giusto, per l’occasione, affidarci alla popolare Wikipedia).
Di che parla I furbetti del quartierino?
E in effetti, in questa strampalata storia finanziaria tutta orgogliosamente italiana, sempre in bilico tra il complotto e la farsa, vi sono in abbondanza sia astuzia che grettezza. Questo documentario riesce comunque a districarsi brillantemente in una narrazione a dir poco insidiosa, piena com’è di passaggi e meccanismi complessi legati al mondo di Piazza Affari e alle regole di Bankitalia.
Tra filmati di repertorio, audio di intercettazioni e interviste a magistrati, finanzieri e giornalisti – tutti in qualche modo legati allo svolgersi della vicenda – il racconto, affidato ad un’unica voce narrante, procede in modo avvincente e lineare. Avvalendosi talvolta di animazioni grafiche per semplificare i suddetti grovigli legislativi appartenenti al mondo del mercato.
Nonostante l’atmosfera da commedia all’italiana che pervade il documentario, che non parla solo di operazioni, quote e numeri ma anche di champagne, depilazione e tronisti – per tacer di Anna Falchi, al tempo ‘la donna più desiderata del paese’ -, la rilevanza dei fatti in questione è indubbiamente di importanza storica.
Se infatti i furbetti fossero riusciti nei loro rispettivi tentativi di impadronimento di banche e società, l’intero assetto dell’economia e dell’informazione – e quindi della politica – del nostro paese sarebbe stato radicalmente stravolto. Ragionevole è allora fare un passo indietro e spiegare chi fossero i protagonisti di questa benedetta estate 2005 – chi fossero insomma i furbetti del quartierino.
Ma chi erano – e cosa volevano – i furbetti del quartierino?
Da una parte vi è Stefano Ricucci, uomo simbolo dei cosiddetti immobiliaristi (o neoimmobiliaristi che dir si voglia). Venuti dal basso (lui stesso aveva studiato da odontoiatra) e arricchitisi velocemente, molto velocemente (troppo per alcuni) nel campo delle speculazioni edilizie. Vi è poi Gianpiero Fiorani, amministratore delegato della BPL, la Banca Popolare di Lodi (che proprio quell’estate trasformerà nella Banca Popolare Italiana, BPI). Vi è infine Giovanni Consorte (soprannominato ‘il Cuccia rosso’), amministratore di Unipol.
Tre personaggi molto diversi tra loro, per carattere, per storia, per ambizioni. Per ambizioni forse no, secondo il pm Eugenio Fusco, anch’egli intervistato nel documentario assieme ad altri funzionari delle Fiamme Gialle e giornalisti vari. Perché le diverse ambizioni dei tre si ritrovano allineate in un’unica perfetta intesa, che permetterebbe ad ognuno di loro di raggiungere il proprio obiettivo.
Con la benedizione dell’ultimo tra gli attori di questa storia: Antonio Fazio, allora governatore di Bankitalia. Carica che fino a lui era a vita e che – dopo lui e dopo questa vicenda – diviene un mandato con durata di sei anni (ripetibile per due volte). Fazio è, tra i tre, professionalmente e umanamente legato in particolar modo a Fiorani (com’è ovvio, operando questi in ambito bancario).
E Fiorani, con la sua BPL (poi BPI) vuole acquisire Antonveneta: se l’acquisizione riuscisse, diverrebbe così il terzo (o quarto, lo sa Dio) polo bancario italiano. Antonveneta è però già nel mirino di una banca olandese (ABN Amro). L’Unipol di Consorte, invece, cerca da fare lo stesso con la Banca Nazionale del Lavoro (BNL); qui l’avversario è lo spagnolo Banco Bilbao Vizcaya Argentaria (BBVA).
Ricucci, dal canto suo, con un pugno di altri immobiliaristi (Danilo Coppola, ecc.) sta tentando la scalata a RCS, la prima società editoriale italiana, il cui controllo significherebbe, per intendersi, il controllo del Corriere della Sera. Partecipa inoltre attivamente alle rispettive imprese di acquisizione di Fiorani e Consorte, sostenendo entrambi con un flusso di denaro astronomico. Questo lega i tre ad un’unica trama e questa trama è legata a doppio filo al governatore della Banca d’Italia, quest’ultimo dovendo dare il nulla osta alle diverse operazioni.
Falchi, rose e folletti per conquistare l’Italia
Ricucci e compagnia bella non sono ben visti dai salotti buoni del potere finanziario italiano. È lui stesso, attraverso l’ostentazione della sua nuova ricchezza, ad attirarsi le antipatie dei cognomi blasonati e la morbosa curiosità dell’italiano medio, avido lettore di rotocalchi, tipo Novella 2000. La sua copertina dell’estate 2005 è dedicata al faraonico matrimonio tra l’immobiliarista di Zagarolo e Anna Falchi, conquistata a suon di rose e aspirapolveri. Pare infatti che, saputo l’indirizzo dell’attrice, ogni mattina il principe azzurro si presentasse suonando il campanello e lasciando una rosa sull’uscio. Poiché a quell’ora la Falchi era solita fare le pulizie di casa, dalla rosa decise di passare al Folletto, uno tra gli apparecchi più costosi per pulire pavimenti e tappeti. Straordinario a dirsi, sembra aver funzionato.
‘Funambolismo modaiolo’ (così venne allora definito dalla stampa) da una parte e puro spirito patriottico dall’altra. A fronte del pericolo di invasione straniera (tema assai caro ad una certa parte politica, ora come allora), rappresentato dai tentativi di scalata compiuti dalla banca olandese e da quella spagnola, il governatore Fazio si sente praticamente chiamato in causa. Egli sente di dover difendere gli interessi della nazione, senza però mai infrangere le regole, a suo dire. Magari solo avvantaggiando, dove possibile, i suddetti competitori nostrani.
Le frenetiche scalate dell’estate 2005, avvenute quasi in contemporanea, e i rispettivi duelli con le banche estere, assieme alla sfarzosa disinvoltura con cui questi novelli padroni d’Italia si ponevano nel campo degli affari e di fronte all’opinione pubblica, hanno giocoforza suscitato l’interesse dei magistrati. Da qui il via alle intercettazioni e alle parallele inchieste giudiziarie, da condurre con inusuale celerità, onde evitare acquisizioni improprie che – una volta eventualmente disfatte – avrebbero causato una condizione di caos irreparabile nella finanza del paese, e non solo in quella.
I “Lanzichenecchi” e il trionfo della cafoneria
La stampa, prima di appellare questo eterogeneo gruppo di guerriglieri della Borsa come i furbetti del quartierino, li aveva ribattezzati ‘i Lanzichenecchi’. Un giornalista, chiedendo a Ricucci se si sentiva davvero un lanzichenecco, ottenne più o meno la seguente risposta: “Macchè lanzichecca, io mi trombo la Falchi tutte le notti” (corsivo evidentemente mio)…
Et voilà… ecce homo. Prima del gran finale di questa storia (che ricordiamo essere un documentario, non una fiction) è tempo di introdurvi un ultimissimo incredibile personaggio: Lele Mora, maschera tra le più emblematiche dell’italianità, allora ancora imperante nella sua lussuosa villa in Sardegna. Il suo racconto: “Di banchieri che venivano alla mia corte ce n’erano parecchi. Quella sera lì c’era Fiorani. Avevo delle belle donne meravigliose, tutte vestite guepière, e cento ragazzi in perizoma con le piume di struzzo. Vodka a volontà. Clou della serata: ho fatto nevicare…”
Questo per concludere quanto riguarda l’alternanza tra festoso lusso kitsch e azioni quotate in Borsa: del resto il cattivo gusto non ha e non ha mai avuto rilevanza penale – Berlusconi docet – a proposito: nel 2005 governava lui. E sempre il Cavaliere, chiamato in causa da una telefonata di Flavio Briatore a Ricucci, dovrebbe essere tra gli ospiti di una cena, con Aznar e Galliani, appositamente organizzata da Briatore che ha deciso di “dare una mano con Rcs”. Inequivocabile segno che i Lanzichenecchi stanno per farcela, stanno per vincere la partita… Eppure la catastrofe è proprio dietro l’angolo.
Cosa hanno fatto quindi il banchiere, l’immobiliarista e l’ex comunista per attirarsi le indagini della Guardia di Finanza e quelle che poi saranno le condanne nei processi contro di loro? Il tutto potrebbe ridursi ad un’unica parola; o meglio, un termine tecnico: aggiotaggio.
Aggiotaggio. Speculazione (punibile per legge) sul crescere o diminuire del costo dei pubblici valori o sul prezzo di certe merci, operata valendosi di informazioni riservate o divulgando notizie false o tendenziose per alzare o abbassare le quotazioni, allo scopo di avvantaggiarsi a danno dei risparmiatori o dei consumatori (sempre da Wikipedia, pareva giusto).
I furbetti del quartierino, un’incredibile – e italianissima – storia vera
La finanza italiana sembrava vicina ad una rivoluzione. Crolla invece il castello di carte – e fa molto rumore. La realtà, messa a nudo dalle intercettazioni, rivela inciuci della peggior specie. La procura di Milano sequestra le azioni di Antonveneta. Fazio è costretto, prima volta nella storia di Bankitalia, a dare le dimissioni (la copertina dell’Economist dell’epoca recava amabilmente questo titolo: ‘Please go, Mr. Fazio’). Gli succederà Mario Draghi. Fiorani viene condotto a San Vittore, Ricucci a Regina Coeli. Anche Fazio e Consorte saranno condannati. E la Falchi, esaurite le lacrime, chiederà il divorzio. L’estate dei lanzichenecchi è finita.
Quando la stampa inizia ad attaccarli, secondo loro – è tutta questione d’invidia. Perché sono troppo bravi. Perché non hanno ‘quattro cognomi’ (cit). O perché hanno cercato di mettere l’Italia prima. Dal carcere usciranno comunque tutti in breve tempo (le condanne si aggireranno sui 3 anni e 6 mesi) e torneranno a vivere, più o meno, una vita felice. Più o meno. Per uomini per cui il prestigio era tutto, deve ora trattarsi senza dubbio di tutt’altra vita.
I furbetti del quartierino ci racconta una storia, questa storia, tipicamente italiana: per l’inciucio (continuiamo ad usare questo termine popolare) tra gossip e finanza, tra regole internazionali e scappatoie per i più furbi. I più furbetti. Del nostro quartierino.