Qui il trailer italiano de I molti santi del New Jersey, prequel de I Soprano. Qui sotto, il trailer originale di Many Saints of Newark.
I Soprano: la più grande serie di tutti i tempi?
The Sopranos (cui abbiamo dedicato qui una puntata del podcast) è considerabile la più grande serie TV di tutti i tempi. L’idea non è del sottoscritto ma di uno stuolo di critici, studiosi, addetti ai lavori. Il sindacato degli sceneggiatore Writers Guild of America – l’ente che fa quegli scioperi che interrompono la produzione di film e serie – l’ha definita la serie meglio scritta di sempre. La rivista Rolling Stone e il quotidiano britannico Guardian la definiscono il più grande programma mai apparso in TV.
«Il più ricco traguardo nella storia della televisione», «La più grande opera di cultura popolare americana dell’ultimo quarto di secolo» (New York Times nel 1999).
Anche per i Sopranos si scomoda il mito del «grande romanzo americano» realizzato via serie TV.
Tuttavia, non solo il mondo dei «competenti» ama alla follia i Sopranos.
Ci sono orde di fan, di tutte le etnie, tutte le classi sociali, tutti i Paesi. Milioni (miliardi?) di persone attratti dallo spettacolo della serie e i suoi oscuri insegnamenti. Tutto il mondo è stato catturato dalla sottile, schizofrenica voluttà di realizzare che un uomo di famiglia può essere un assassino, un criminale può essere un cavaliere (cioè, un uomo che segue un codice). Ciò è quanto riuscì di fare a Coppola con i Padrino – anche quello, del resto, considerato dal mondo intero come uno dei migliori film di tutti i tempi, se non il migliore.
Il Padrino – la cui videocassetta fu ritrovata in casa degli ultimi boss siculi così come di Saddam Hussein – è citato, financo satireggiato (da Silvio Dante e cioè Steve Van Zandt, il chitarrista di Bruce Springsteen che si scoprì perfetto attore di mafia movie) svariate volte nei Soprano, con cui è condiviso uno degli attori più grandi, Dominic Chianese cioè zio Junior Soprano.
La cosa incredibile è che la serie pare avere conquistato tutti. Amici serbi mi raccontavano che la TV la trasmetteva sottotitolata il pomeriggio, scene di sesso HBO incluse.
Amatissima anche dagli attori, poco conosciuta in Italia
Per l’Italia, invece, è stato diverso.
Chi scrive ricorda di aver visto le folgoranti ultime due puntate della serie (dopo aver ignorato le restanti 84) in una notte della primavera 2008 sulla TV commerciale italiana. Sottolineiamo che era di notte: ai margini totali del palinsesto.
La serie non ha mai attecchito in Italia. Vuoi per il doppiaggio, vuoi perché la descrizione di questi personaggi che si chiamano «italians» ci è totalmente aliena (quanto i pizza joint con le tovagliette a quadri), vuoi perché i Sopranos è un prodotto interamente americano. Fatto negli USA (come il criptico, poetico nome dell’ultima puntata: Made in America), ci parla degli USA e della società statunitense con una profondità mai vista prima nella narrativa audiovisiva seriale.
C’è di più, nel fandom de I Soprano. Si scopre che molti attori che hanno partecipato alle stagioni dopo la prima erano, in realtà, già dei fan. Ivi compreso il gigante della storia del cinema Peter Bogdanovich, un divo della regia cinematografica che amava talmente lo show da farsi inserire dalla seconda stagione nel ruolo dello psichiatra ebreo Elliot Kupferberg, segretamente (e rabbiosamente) attratto dalle dinamiche mafiose. Lo stesso dicasi per tanti altri attori: entrano nel cast da fan sfegatati.
La bella Lola Glaudini racconta che quando ha ricevuto la telefonata per la parte dell’agente FBI sotto copertura era, come tutti in America, organizzatrice di «Soprano party»: ci si trovava sabato a casa di amici per guardare insieme la serie. Ma anche chi poi non è finito nel cast era ammaliato: Alec Baldwin ha più o meno scherzosamente confessato di aver tentato di entrare chiedendo di essere quello che uccide Tony Soprano – poi nella serie, al culmine della sua cifra postmoderna, appare il fratello bolso e destrorso di Alec, Daniel, nel ruolo di se stesso (!).
Molte di queste storie fluiscono libere nel podcast Talking Sopranos, tenuto da Michael Imperioli, cioè Christopher Moltisanti, e Steve Schirripa, cioè Bobby Baccalieri.
La delicata eredità de I Soprano…
Ora, tutto questo preambolo per far capire che la sfida vera de I molti santi del New Jersey nel riportare I Soprano alla vita era quella di non infastidire a morte il pubblico adorante.
«La paura di offuscare quella eredità è diventata un’ancora che è rimasta con Chase quando lo spettacolo è terminato dopo sei stagioni nel 2007» ha scritto questa settimana il Washington Post intervistando il creatore del Sopranoverso David Chase (cognome di origine, DiCesare).
«Benintenzionati amici chiedevano se avesse paura che riprendere la serie potesse rovinarla – o, nelle parole di Chase, avrebbe “c**ato su tutta la serie”». Scherzando (o forse no), lo showrunner 76enne ha detto al Washington Post che voleva «colpire le persone in faccia ogni volta che suggerivano che avrebbe potuto offuscare la memoria del loro programma preferito».
Il depressivo Chase può essere minaccioso quanto vuole, tuttavia il problema si pone sul serio. E sì, la dinamica è esattamente quella di Misery non deve morire: in ultima analisi, a chi appartiene davvero un personaggio immaginario? Al suo creatore o al suo fruitore?
È lecito provare disgusto se qualcuno – ad anni di distanza, e per i soldoni del sistema – inquina qualcosa che nel cuore del pubblico è già perfetto? La domanda è stata posta nei casi dei prequel e sequel di Star Wars, dell’ultimo Indiana Jones, etc. South Park ci imbastì sopra un controverso episodio (S12E08), in cui si vedono Spielberg e Lucas stuprare i loro stessi personaggi.
… e i molti rischi de I molti santi del New Jersey
Così, è con il cuore in gola che si accetta di guardare I molti santi del New Jersey. Chase ha capito una cosa fondamentale: i personaggi de I Soprano non sono più un cast, sono un panthéon.
Un gruppo di buzzurri del New Jersey, nemmeno tutti mafiosi, nemmeno davvero benestanti, che diventano i protagonisti di un vero e proprio mito: ecco che online si studiano le genealogie dei Soprano, dei Moltisanti e dei DiMeo come quelle di Cadmo e di Atreo.
Qui c’è quindi il primo punto che disturba: possiamo dire che mostrare i personaggi da giovani (con l’impudica scelta di mettere il figlio di Gandolfini ad interpretare il suo personaggio da adolescente), focalizzarsi su personaggi che esistevano nella mente dello spettatore per oscuri sentito dire (il protagonista, Dickie Moltisanti: mai visto nella serie ma molto discusso), può rappresentare un mero esercizio di fanservice?
Bisognerebbe che questa immersione mitografica offrisse qualcosa di nuovo. Invece, a parte il colpo di scena finale, c’è poco o nulla.
Dai Soprano a I molti santi: casting e politicamente corretto
Secondo punto dolente: gli attori. I Sopranos impiegarono praticamente la totalità degli attori italiani di mafia movie (tipo: più di trenta avevano partecipato a Quei bravi ragazzi di Scorsese). Con rare eccezioni, non c’era un «italiano» che non fosse interpretato da un «italiano». Una risposta tardiva ai picchetti contro Marlon Brando durante la preproduzione de Il Padrino, con i manifestanti che chiedevano «attori italiani per ruoli italiani» (probabilmente, in questa protesta c’era lo zampino della mafia dei tempi di Joseph Colombo).
Con I molti santi la ferrea regola sembra stingersi: ecco che i fratelli Soprano sono interpretati da attori ebrei di medio-livello – Corey Stoll e Jon Bernthal. I due, va detto, non portano a casa il risultato, a differenza del protagonista Alessandro Nivola e di un Ray Liotta (un tempo in predicato per interpretare Tony Soprano…) che è crudele e contorto sino alla trasfigurazione.
E poi, difficile pensare come non si sia introdotto anche qui il germe del politicamente corretto – o finanche peggio, della Critical Race Theory, l’idea dibattuta in America per cui ogni istituzione, ogni storia americana è intrinsecamente, «sistemicamente», razzista. Ecco che la bella idea di descrivere le rivolte nere del 1967 (cosa quanto mai attuale da raccontare) si rovescia in un racconto dove i neri cornificano gli italiani concupendo le loro concubine, prendendosi il loro business e uccidendo come mafia comanda, ma rimangono – a differenza di chiunque altro – impuniti.
Siamo anni luce dalla franca descrizione di tutti i segmenti sociali che faceva la serie. Dove i neri, come gli WASP, gli ebrei, i latinos, non erano né buoni né cattivi, ma descritti in tutte le loro sfumature, dallo spacciatore di crack al politico ambizioso, dalla bella ragazza-madre al reverendo corrotto passando per la brava infermiera il cui buonumore è inspiegabile per i malinconici italiani e le loro famiglie disfunzionali. Il politicamente corretto era off-limits per i Sopranos: ci viene il dubbio che quella sia un’altra barriera che è caduta giù.
Farsi tornare la voglia dei Soprano grazie a I molti santi
Quindi, perché vedere Many Saints? Perché, nonostante sia un film molto imperfetto, fa tornare la voglia di immergersi nel continuum civile e criminale tra New Jersey e New York, quell’affresco che ha stregato il mondo.
Abbiamo fatto la prova su noi stessi: abbiamo iniziato a riguardare la serie storica de I Soprano (tanta roba: 86 episodi) spinti dall’arrivo de I molti Santi. Pur rimanendo delusi (neanche troppo, dai) dalla pellicola, abbiamo constatato che la voglia di rituffarci nel «grande romanzo americano» degli immigrati campani in North Jersey non è passata, anzi.
Ecco che, come sempre accade, notiamo mille cose che alla prima visione, un decennio e mezzo fa, ci erano sfuggite. Gli occhi del napoletano Furio Giunta sono di un azzurro tenero e inquietante. La dottoressa Melfi è più coinvolta nella terapia di Tony di quanto ricordavamo. Tony Soprano è violento e psicopatico ma solo se si entra nel suo mondo, da cui tenta di allontanare il più possibile la gente. Steve Buscemi ha un personaggio enorme ed è regista degli episodi più belli. C’è la pubblicità occulta della Coca Cola (come avevamo fatto a non vederla?).
Una parte della cinematografia (fotografia, movimenti di macchina, impianto di regia), specie in ambienti domestici, è invecchiata terribilmente. Un’altra parte no, è ancora terribilmente avanti, con quel suo realismo opaco fatto di scantinati e locali fumosi. Come le sequenze oniriche, che in alcuni casi durano praticamente un intero episodio. Poca roba vista su schermo è così diretta, libera, artisticamente rilevante – forse la scena cosmogonica dell’«origine del male» nella terza stagione di Twin Peaks, di cui Mondoserie ha scritto qui. S03e08: Got a light?
In conclusione: I Soprano e I Molti Santi
Diciamo pure che se invece che un film prequel il vecchio Chase avesse deciso di fare una serie le cose sarebbero andate molto meglio. Più spazio per l’evoluzione dei personaggi, più tempo per descrivere la morfologia e la trasformazione della società americana. Cosa che la serie faceva alla perfezione, attaccando il consumismo, discutendo la questione della malattia mentale, raccontando l’importanza dei legami famigliari e soprattutto mostrando (facendole genialmente riflettere nel microcosmo italoamericano) le ferite del tessuto sociale dell’America tutta.
Non sappiamo se Chase avrà il tempo e le energie psicologiche (pare davvero sempre depresso!) di tornarci sopra. Anche senza Gandolfini, morto nel 2013, una continuazione dei Sopranos non è impossibile. Tuttavia non importa: noi rimaniamo con il capolavoro in mano, il suo Olimpo perfetto di dèi sublimi ed orrendi.
È già tantissimo così.
Giudizio: I molti santi del New Jersey è un film da vedere per farsi tornare l’impulso di riguardare (o guardare, se siete vergini) I Soprano. Quello è il vero godimento che dovete meritarvi.
Leggi anche: I Soprano, gangster story sull’anima dell’America
E ascolta la puntata del podcast: I Soprano: imparare a voler bene al cattivo