Ormai è tempo di avviare una petizione popolare, minacciare di cancellare abbonamenti, forse scendere in piazza. A oltre un anno dalla sua conclusione americana, la fantastica Barry in Italia è ancora ferma a metà: ai 16 episodi delle prime 2 stagioni, disponibili su Sky e NOW dal 2021. Destino beffardo quello, nel nostro Paese, della pluripremiata e magistrale dark comedy HBO con Bill Hader come creatore e protagonista: ci è stata proposta con ben tre anni di ritardo sul debutto americano (aprile 2018!). A quel punto, i tempi potevano pure riallinearsi perfettamente, visto che negli USA – causa Covid e altri impedimenti che avevano rallentato la produzione – le stagioni 3 e 4 sono uscite solo nel 2022 e 2023.
E invece, niente. Ciclicamente torno a controllare sulla pagina NOW se è cambiato qualcosa. Se nella scheda di Barry si è aggiunta la stagione 3. Se c’è almeno un annuncio. Niente. E dire che magari l’avevamo scoperta in ritardo, ma l’avevamo subito amata alla follia. Gustandone con entusiasmo la brillantissima profondità. Divorandone gli episodi – di lunghezza ibrida, attorno ai 30 minuti, a metà strada tra lo standard della commedia e quello del dramma, come è in fondo appropriato per questo stranissimo show. Un vero gioiellino, di cui si era molto parlato alla sua uscita americana e per il grande successo avuto. In primis per la sua storia, originale e come meglio vedremo molto feconda: quella di un sicario che si imbatte in un corso di teatro e decide di cambiare vita.
Insomma, si è capito. Qui a Mondoserie e ne siamo innamorati (dedicando allo show anche una puntata del podcast). E ora da ben tre anni aspettiamo un seguito. Un seguito che – beffa suprema – c’è, è pronto, conclude la vicenda. E quindi: Sky, rilascia (per una volta è davvero giusto usare questa espressione!) le stagioni 3 e 4 di Barry. Adesso. Anzi: NOW!
Qui potete vedere il trailer come merita, in lingua originale. Qui sotto, in italiano.
Di cosa parla Barry, inatteso grande successo
Barry è stata creata da Alec Berg (già scrittore per Seinfeld, co-sceneggiatore de Il Dittatore, poi produttore e tra i registi di Curb Your Enthusiasm) con Bill Hader. Che ne è anche la star, oltre ad aver scritto e diretto numerosi episodi dello show in prima persona.
Il Barry del titolo è un assassino professionista, ex marine e reduce ancora traumatizzato dall’Afghanistan. In trasferta da Cleveland a Los Angeles per un omicidio commissionato dalla mafia cecena, irrompe per caso in un teatrino off e nel corso di recitazione tenuto da Gene Cousineau (l’Henry Winkler che tutti ancora oggi ricordano come il Fonzie di Happy Days). Ed è quasi un doppio colpo di fulmine: per il palcoscenico, e per l’aspirante attrice Sally (Sarah Goldberg).
Questi nuovi interessi sapranno colmare il vuoto che Barry avverte al centro della propria esistenza? E, soprattutto, saranno abbastanza forti da permettergli di cambiare vita, uscendo dall’orbita di figure criminali come il vecchio amico di famiglia Monroe Fuches (Stephen Root), che ne gestisce le attività di sicario, e la nuova conoscenza NoHo Hank (Anthony Carrigan), pittoresco gangster ceceno?
La commistione di elementi comici e drammatici, di serio e faceto, evidente anche dalla trama, è il primo grande punto di forza dello show. Accolto trionfalmente dal pubblico americano come dalla critica, che l’ha premiato con 30 nomination agli Emmy in due stagioni: per Hader doppia vittoria come protagonista nei due anni successivi, per Winkler meritata statuetta da non protagonista per la prima stagione. E al secondo anno solo la candidatura concorrente tra i comprimari di Winkler, Root e Carrigan ha impedito un nuovo premio.
Ma perché da noi è meno conosciuta? E chi è Bill Hader?
Le due domande sono strettamente intrecciate. A parte la sua anomalia di genere, a metà tra commedia e dramma e non solo, che può aver reso più tiepidi gli ancora conservatori distributori italiani, il limite è stato forse proprio nella figura del suo creatore e protagonista. In Italia Bill Hader era e ancora rimane largamente sconosciuto al grande pubblico, ma in America era già una star ben prima di Barry, in particolare per la sua lunga presenza (2005-2013) nel leggendario show Saturday Night Live.
I suoi personaggi e le sue imitazioni gli sono valsi un Peabody Award e 4 nomination agli Emmy: ma soprattutto una popolarità che lo ha portato a partecipare a un numero crescente di film, e a potersi cimentare con altre esperienze, dalla sceneggiatura alla regia, alla produzione di South Park (altro Emmy vinto), fino a incursioni nel genere drammatico e persino nell’horror (IT – capitolo due).
Ma sono soprattutto le imitazioni, e il talento comico, ad averne fatto la fortuna, dal cast di Saturday Night Live ai tantissimi late night show di cui è stato ospite negli anni. E in effetti le sue capacità mimetiche sono impressionanti. Al punto tale che proprio a partire da una sua riuscita imitazione (di Tom Cruise) qualcuno realizzò pochi anni fa il primo video di deepfake a diventare virale, e a mostrare al mondo le potenzialità e i pericoli di tecnologie capaci di trasformare o ricreare il volto di chiunque.
Con il personaggio di Barry, il suo creatore condivide anche la propensione all’ansia: vittima costante di emicranie, Hader ha sofferto di attacchi di panico persino durante le performance del SNL (che, come dice il nome, sono dal vivo e in diretta, non pre-registrate).
Il PTSD trattato in commedia: il precedente di Carlin
Una delle particolarità di Barry, lo abbiamo detto, è il fatto di trattare in toni da commedia (seppure da black comedy, a volte dramedy, a volte persino tragicommedia) un tema reale e serissimo come il PTSD. Cioè il disturbo da stress post-traumatico (l’inglese Post-Traumatic Stress Disorder): in psicologia, l’insieme delle acute sofferenze psicologiche che conseguono a un evento traumatico, catastrofico o violento subito.
Un disturbo assai diffuso specie nella violenta società statunitense, e che è stato più volte messo in scena in ambito pop. A volte raccontandoci le conseguenze di traumi sessuali dell’infanzia, come in Mystic River. Ma più spesso mettendo al centro veterani di guerra: da Il cacciatore ad American Sniper a The Hurt Locker.
Perché naturalmente il più frequente ambito di applicazione del PTSD è quello bellico: venendo diagnosticato a soldati esposti ad accadimenti disumani per intensità e ferocia. Chi soffre di questa condizione può esperire incubi, flashback e un profondo disagio psichico di fronte a eventi o persone che gli ricordano l’evento traumatico. Persino allucinazioni, fino a non riuscire più a distinguere la realtà.
Ed è proprio il caso del protagonista della serie, Barry Berkman. In Afghanistan ha vissuto esperienze indicibili, che ne hanno messo in profonda crisi l’identità e l’auto-rappresentazione: e tornato dalla guerra si è riciclato nell’unica attività che si è convinto di saper fare. E cioè uccidere, anche se è proprio da lì che derivano il suo trauma e il suo costante disagio esistenziale. Frequentemente, Barry sovrappone le esperienze di guerra a ciò che gli accade nel presente: la nevrosi riaffiora, la violenza sembra poter prendere il sopravvento. Che sia sulle tavole del teatro o nel rapporto con un’altra persona.
La puntata finale (la 8) della seconda stagione mette in scena una vera e propria esplosione di violenza, senza sosta, inarrestabile, psicotica, magistralmente resa e centrata. Peccato che in Italia siamo ancora fermi lì…
Una curiosità. Sullo stesso tema il leggendario comico americano George Carlin costruì uno dei suoi sketch più geniali: raccontando la trasformazione del nome del disturbo, in pochi decenni, dal più brutale e diretto shell shock alla più difficile e indefinibile forma attuale. Una feroce satira del soft language e degli eufemismi, che Carlin denuncia come modi efficacissimi di controllare la società, disumanizzandone e rendendone sempre più astratte le paure, le ansie, le necessità.
Perché guardare Barry: comica, dark, surreale, precisa
I motivi tematici per correre a recuperare le 16 brevi puntate di questa serie, in attesa della terza stagione, dovrebbero a questo punto essere chiari. Ne aggiungiamo altri.
Il cast. Bill Hader offre una prova matura, complessa, sfaccettata, davvero impressionante. La sua figura da spilungone imbranato e la comica plasticità facciale possono in un secondo mutarsi in minaccia, in violenza repressa, in psiche traumatizzata. Henry Winkler trova finalmente, dopo infinite parti più ridotte, un ruolo che ne valorizza le qualità recitative. I “cattivi” sono memorabili, da Stephen Root a Glenn Fleshler. Fino all’incredibile e a tratti entusiasmante Anthony Carrigan (mafioso ceceno follemente geloso del rapporto che il suo nuovo improbabile alleato boliviano instaura con la silenziosa leader della banda birmana).
La scrittura alterna con sapienza e un equilibrio quasi sempre perfetti i diversi registri scelti dallo show. Quando vuole esserlo, Barry sa come essere divertente, e parecchio. Ma un attimo dopo può essere malinconica. Ora fa ridere; e ora si rivela sanguinosa, violenta, anche cupissima, persino disturbante.
Come il suo protagonista: il sicario divenuto aspirante attore di Hader, reinvenzioni autobiografiche a parte, non è un personaggio né accomodante né positivo. Paradossalmente, e pur nei tratti di una comedy appunto dark, è un personaggio tragico. Un uomo che ha visto frantumarsi un’identità che era già incerta, in balia degli eventi e del caso. Costantemente risucchiato in una spirale di violenza che non sembra mai in grado di allontanare definitivamente da sé. Un grande psicopatico, perfetto interprete dei nostri tempi confusi.
Ascolta anche il podcast su Barry
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