Ascoltate il mio consiglio: recuperate e guardatevi Castle Rock. Farete anche bella figura, parlandone, perché non la conosce nessuno. L’unico problema, meglio dirlo subito, è che recuperarla in questo momento non è facilissimo se non in DVD: la serie, vista inizialmente su Apple TV+, è finita vittima delle traversie di Starz Play, poi divenuta Lionsgate+, poi finita nei cataloghi MGM. Che però, al momento, non ci sembrano disponibili in Italia.
Produttori ne sono il golden boy del fantastico, J.J. Abrams, e “il re del brivido”, Stephen King. Due nomi che già da soli accendono curiosità; e, insieme, dovrebbero indurre almeno un pizzico di desiderio. Da un lato il creatore di Alias e poi soprattutto della leggendaria Lost (entrambe serie cui abbiamo dedicato puntate del podcast), e poi del rilancio cinematografico di Star Trek, quindi dei nuovi Star Wars. Dall’altro lato il romanziere re dell’horror, 500 e passa milioni di libri venduti.
Ci si poteva aspettare una serie di genere. E invece, quella sfornata da Hulu è qualcosa di radicalmente diverso: una riflessione, a tratti commovente e persino poetica, sull’origine dell’inquietudine nelle nostre vite.
Che cos’è e come nasce Castle Rock
Le due stagioni (da 10 puntate ciascuna) sono antologiche e quindi autonome: raccontano due storie diverse, accomunate dalla medesima ambientazione geografica e atmosferica.
Ideata da Sam Shaw, la serie si basa solo molto alla larga sulle storie dello scrittore statunitense: ne recupera personaggi, certo, ma sceglie soprattutto di concentrarsi sulle sue atmosfere e su alcuni temi, ambientandoli nell’immaginaria cittadina eponima del Maine che fa da sfondo a tanti racconti dell’autore.
È molto raro che le traduzioni cine-televisive di romanzi e racconti di King colpiscano nel segno. Un problema che è secondo noi alla radice del parziale fallimento della pur stellare e sontuosa versione su schermo di La storia di Lisey: il romanzo più amato dallo scrittore, che lo ha voluto trasporre lui stesso per la televisione. Finendo per ucciderlo col troppo amore, come abbiamo raccontato qui al termine della pubblicazione su Apple TV+ della miniserie firmata da King con la regia di Pablo Larraín e la produzione, di nuovo, di J.J. Abrams.
Qui, al contrario, il più infedele e quasi negletto degli adattamenti funziona alla grande. Anzi, si piazza agevolmente tra le migliori “traduzioni” su schermo dell’universo dello scrittore americano.
La prima stagione: inquietudini reali, fantasmi della psiche
Senza trasporre nessuna specifica opera di King, lo show mette al centro l’immaginaria città di Castle Rock, topos della narrativa del prolifico scrittore.
E il fan coglierà moltissimi riferimenti al suo universo letterario: dal racconto Il corpo (più noto per la sua versione filmica Stand By Me) a Shining (uno dei personaggi è la nipote di Jack Torrance), da Cujo a Cose Preziose, da The Shawshank Redemption (il film Le ali della libertà, in italiano) a IT (e non solo per la presenza dello stesso attore, il disturbante e talentuoso Bill Skarsgård che qui è Il Ragazzo e che nella nuova versione filmica di IT era Pennywise il Clown).
Ma troverà di che soddisfarsi anche chi non abbia particolare passione per le pagine di King, che forniscono un’ispirazione generale e non già una storia precisa.
La trama della prima stagione: un avvocato torna dopo molti anni a Castle Rock quando nei sotterranei della prigione viene ritrovato un ragazzo la cui identità è sconosciuta, e che fa il suo nome. In città l’avvocato ha la madre, affetta da Alzheimer: i ricordi di un lontano trauma si mescolano così alle angosce presenti, generate da un Male che sembra aver fatto irruzione nella comunità.
E da cosa deriva, dunque, l’inquietudine? Certo dalla materia horror. Certo dall’influenza perniciosa di una cittadina segnata da efferatezze e fattacci. E certo dal nebbioso passato del protagonista, che torna nei luoghi della sua infanzia ed è costretto a riesumare memorie e corpi sepolti.
Ma soprattutto dalla messa in scena – che esplode lancinante nella settima bellissima puntata della prima stagione, in cui splende la grande Sissy Spacek – di uno dei grandi tabù del nostro tempo: la malattia mentale, il declino di una personalità amata, la malinconia che lo segna, l’ombra che tutto avvolge.
La seconda stagione: Annie Wilkes, prima di Misery
Se la prima stagione era impressionante, la seconda non delude neanche un po’. Protagonista, reggetevi forte, è Annie Wilkes: sì, l’infermiera psicotica che in Misery soccorre e poi sequestra lo scrittore di cui è la “fan numero 1” per costringerlo a riscrivere la fine delle avventure della sua eroina prediletta. Nello show, la vediamo nei suoi 30 anni: con la figlioletta è in fuga da un oscuro passato, finisce a Castle Rock, e nella cittadina animata da spettri, segreti e inquietudini il suo mix di paranoie e allucinazioni trova terreno fertile.
La serie trova quasi una consolazione, o un alibi, negli elementi fantastici e horror della storia: senza i quali il ritratto di una follia sempre sul punto di esplodere sarebbe – da quanto veritiero e potente è – quasi insostenibile. Anche grazie alla magistrale prova di Lizzy Caplan nei panni dell’allucinata protagonista (da segnalare, tra i comprimari di lusso, Tim Robbins).
La seconda stagione di Castle Rock mescola tre piani temporali: il presente narrativo; la radice del trauma che ha segnato la protagonista 16 anni prima; e una vicenda di stregoneria accaduta nel 1619. Ma c’è un quarto tempo che incombe, ineliminabile dalla mente dello spettatore: quello della Annie Wilkes futura, la sua “condanna” a diventare il mostro sadico ed egoista che ha segnato gli incubi di molti grazie al romanzo Misery e al film dallo stesso titolo. Conoscerne il destino rende ancora più inquietante, e struggente, il suo ritratto a metà percorso.
Castle Rock: due stagioni, due storie che meritano
Anche nel suo secondo capitolo la serie si conferma come uno dei migliori prodotti di genere. L’inizio della puntata 8, con il corteo religioso che svuota la città sulle note di “Avalanche” di Leonard Cohen, è da brividi, e fa perdonare qualche pasticcio sul fronte “stregonesco” e sovrannaturale.
Il finale, o meglio la sequenza di diversi astuti finali, risulta raggelante e insieme eccitante.
Tra prima e seconda stagione, insomma, nelle due diverse eppure “sorelle” storie che la compongono, Castle Rock avvince. E convince, nonostante qualche sbavatura. Una gemma nascosta e inquietante, e uno show da recuperare per tutti coloro che amano il brivido intelligente.
Certo, sempre che riusciate a trovarla, nel caos crescente di cataloghi che migrano senza posa tra una piattaforma e l’altra. Spesso lasciando a terra prodotti di qualità, come questa piccola, bella e intelligente serie. Che mette al centro non le classiche modalità dell’horror ma, piuttosto, l’orrore dell’inquietudine.
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