The Witcher (2019), seconda stagione in arrivo a fine 2021 su Netflix
È il momento d’oro del fantasy polacco. Che, per chi non lo sapesse, è fortissimo a causa di Stanislaw Lem (1921-2006), considerato sovietico perché nato in una città, Leopoli, poi assorbita dall’Ucraina di Stalin.
Quest’anno ricorre il centenario dalla nascita, eventi sono programmati a Cracovia come a Tel Aviv (Lem era un ebreo sopravvissuto agli eccidi nazisti) e tutti ricordano il segno indelebile che i suoi romanzi filosofico-fantascientifici hanno lasciato sulla storia delle arti e delle lettere. Tanto per capirci, Lem non volle vedere la riduzione del suo romanzo più noto, Solaris, né quando la fece Andrej Tarkovskij (1972) né quando la fece Soderbergh con George Clooney (2002).
L’opera di Lem rimane complessissima e molto stratificata, con quantità massive di neologismi e veri e propri slanci di autentica profezia come la pagina, circolata di recente sui social, in cui decenni e decenni prima descriveva perfettamente l’avvento degli eBook, «cristalli con contenuti registrati… hanno solo una pagina tra le copertine. Al tocco, il testo della pagina successiva appare».
The Witcher, il nuovo bestseller del fantasy polacco
Ora il trono del fantasy polacco è seriamente conteso dal successo massivo di The Witcher. Andrzej Sapkowski già insidia numericamente il trono di Lem: tradotto in 37 lingue, è a poca distanza.
Sapkowki faceva il commesso viaggiatore quando decise di tentare un concorso della rivista letteraria Fantastyka. Scrisse il racconto Wiedźmin, «lo stregone». I lettori furono entusiasti, e ne chiesero ancora. Entro il 1994 aveva pubblicato già 14 storie brevi su quello che gli anglofoni avrebbero battezzato The Witcher. Quindi iniziò a buttare giù una serie di romanzi che comprendessero la saga dello stregone. Scrisse con il ritmo notevole di un libro l’anno, mentre in Polonia e nell’Europa Orientale si diffondeva il culto dello stregone albino.
Quando arrivarono le traduzioni in inglese e nelle altre lingue europee, si arrivò a 15 milioni di copie vendute.
Nel 2001 i polacchi ne fecero un film, Wiedźmin, costato la cifra di 19 milioni di zloty, cioè quattro milioni di euro – una cifra che doveva indicare che anche a Varsavia si tentava la strada del kolossal hollywoodiano.
La pellicola, conosciuta fuori dalla Polonia come The Hexer (che possiamo tradurre come: «l’ammaliatore»), piacque per gli attori e per la storia, ma gli effetti visivi schifarono tutti.
Una prima (infelice) serie tv, poi un videogame trionfale
I polacchi non mollarono e fecero una serie TV in 13 episodi l’anno successivo, ma se non ne avete mai sentito parlare è probabilmente perché neanche quella era davvero memorabile.
Tuttavia, per la legge darwiniana dell’intrattenimento, quando un contenuto è geneticamente forte (cioè, detto cinicamente, ha una solida IP, proprietà intellettuale) è difficile che muoia dopo un fallimento e non si riproduca più.
Ecco quindi che arriva il medium più persistente e pervasivo della nostra epoca, il videogioco: The Witcher compare nel 2007 su PC e poi su Xbox e PS4. L’uscita di The Witcher 3 (2015) fu un evento che rubò alla vita milioni di ragazzi; chi scrive ricorda distintamente un amico altamente carnivoro declinare l’invito al barbecue perché «è uscito Witcher 3, mi dispiace, esco quando lo avrò finito».
È qui, con il mare di dati che producono i videogiochi – che offrono ai produttori cinematografici la certezza che la storia tenga incollati alla sedia – che entra in gioco Netflix.
Il successo della nuova produzione Netflix di The Witcher
Nel 2019 esce la serie prodotta congiuntamente tra polacchi e americani. Il ruolo di protagonista è affidato ad un attore che dà certezza alla nerditudine transnazionale: Henry Cavill, cioè Superman.
La storia si basa sui primi due libri di racconti, Il guardiano degli innocenti e La spada del destino. In tutto escono otto episodi. La risposta è piuttosto felice. Tutti amano la serie, anche se non della passione pazza che avevano per Game of Thrones, che è certo il benchmark più prossimo, per violenza e quantità di mammella ignuda.
Si può pensare anzi che l’intenzione fosse quella di incrociare Il Signore degli Anelli con Targaryan e parentado, e di fatto ecco un mondo di elfi stronzi ed eroi dai capelli d’argento in via di estinzione. Salvare l’incanto fantasy, ma metterci dentro sangue e culi a profusione, più crudeltà efferata, che è l’ingrediente sempre più consistente di tante serie TV.
A dire il vero, non è un peccato restare non esaltati dall’originalità della storia: uno stangone albino sterile, progettato geneticamente (nel medioevo!) per distruggere i mostri dei boschi, se ne va in giro per il continente fra combattimenti e il disprezzo del volgo ingrato. Simultaneamente, la storia harrypotteresca di una ragazza bruttissima (ma brutta, brutta, davvero brutta…) che va all’accademia delle streghe ma grazie alla chirurgia plastica (non esattamente la magia) diventa carina, o meglio, passabile – almeno quanto basta alla produzione per farla spogliare e accoppiare a rotta di collo.
Un’opera che tiene, anche grazie a Cavill
Ma c’è una trama superiore, in cui bisogna difendere una nobile bambina bionda dai tratti messianici da progetti, non ancora chiari, di un cattivo che si vede poco e ha due occhi bucati sulla faccia da bravo ragazzino – l’insieme di queste cose lo rende forse il personaggio più riuscito [è l’Eamon Farren già visto nel 2017 nei panni del terrificante Richard Horne in Twin Peaks: The Return].
Ad ogni modo, nonostante qualche ingenuità, nonostante la mancanza di grandeur che oggi è un imperativo del fantasy, l’opera tiene, e talvolta coinvolge molto – specie quando molla l’horror per restare sui binari della saga fantastica.
Erano tutti pronti a sparare su Cavill, invece non è male, nonostante l’eterna espressione con la scucchia di fuori.
La scena in cui fa il bagno è piaciuta alle ragazze, anche se l’occhio attento potrebbe inferirne la rivelazione del grande segreto di Hollywood: la massa muscolare definita di Superman e degli altri film del Cavillo è un po’ appassita, e chissà perché – discutono dell’etica dei ritocchi in Photoshop ma l’antidoping per il cinema mai è stato anche solo minimamente discusso.
Il Cavill tuttavia ci sta simpatico perché nonostante la stardom ottenuta non ha rinunciato a mostrarsi per quello che è: un ragazzo gamer che si monta il computerone da gioco tutto da solo.
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La scena di The Witcher che tutti ricordano
Martin Scorsese dice che se un film è un grande film non ti ricordi la trama, ti ricordi una scena. Per le serie TV è lo stesso: conoscete qualcuno che non rammenta vividamente la pizza sul tetto di Breaking Bad?
Ora, quello che ricordiamo tutti dello uiccerro è la canzone che il bardo rompiballe compone al volo sulle sue gesta:
«Tira una moneta allo stregone / ô valle dell’abbondanza»
La canzonetta è rimasta in testa persino alla più grande cantautrice della sua generazione, Claire Boucher detta Grimes, che ha usato il ritornello per informare il mondo, in uno scambio pubblico con l’uomo più ricco del mondo suo fidanzato Elon Musk, che era incinta.
x is y
— Elon Musk (@elonmusk) January 10, 2020
È un modo contorto di dare l’annuncio, ma del resto il bambino si chiama X Æ A-Xii, e non è un ischerzo.
Siccome in una scorsa puntata siete stati edotti dell’esistenza del genere musicale Synthwave, beccatevi questo remix fatto da un greco a caso, che il sottoscritto ha contattato per fargli i complimenti senza ottenere mai risposta.
Note a margine: sono il solo a cui il nome dello Witcher, Geralt di Rivia, ricorda il baffuto giornalista TV americano, e genero del genio letterario Kurt Vonnegut (che lo detestava apertamente), Geraldo Rivera?
In realtà, no.
Giudizio: scacciapensieri, non incollatissimo, ma non sgradevole, con un paio di momenti piuttosto riusciti.
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