The Romanoffs, miniserie in otto episodi scritta e diretta da Matthew Weiner e uscita nel 2018 (disponibile in Italia su Prime Video di Amazon), è considerata all’unisono un piccolo fiasco. Stroncata dalla maggioranza della critica, ha deluso diversi fan del famoso sceneggiatore.
Io mi discosto: personalmente ho trovato alcuni episodi strepitosi e ve la consiglio.
A parte un paio di puntate davvero insulse, val la pena di immergersi nel nuovo lavoro di Weiner che, dopo Mad Men (a cui abbiano dedicato anche un podcast), se ne esce con una bizzarra antologia sui discendenti dell’ultima famiglia degli Zar.
Ho cominciato a guardarla, dicendomi: “finalmente capirò qualcosa della complessa e intrigante dinastia di cui fecero parte Ivan il Terribile, Caterina la Grande, Anastasia. Mi verrà spiegato perché gli ultimi discendenti sono stati tutti fucilati in una notte, fatti a pezzi e bruciati dai Bolscevichi. Chissà cosa aveva combinato il famigerato Rasputin, aveva davvero una relazione con la zarina? E inoltre – andavo sempre dicendomi– in soli otto episodi comprenderò anche la Rivoluzione Russa!”
Invece, nessuna storia. Nessuna spiegazione. Nessuna ripresa della grande epopea Romanoff o delle sommosse sovietiche. Non si vede Ivan il Terribile ammazzare di botte suo figlio, né i poveri contadini sottomessi morire sotto il giogo dei proprietari terrieri.
Le otto storie di The Romanoffs
Sono otto singolarissime storie ambientate ai nostri giorni. L’unico legame tra i protagonisti degli episodi è la comune discendenza Romanoff. Un’eredità pesante, quasi uno spettro che infesta i corpi di chi l’ha nel sangue.
C’è qualcosa di sottile, a tratti mistico e altèro dentro queste figure che si muovono nei bar di Parigi, in una Russia moderna e disastrata, tra i grattacieli di New York o in altre città del mondo. Alcuni hanno effettivi problemi di salute, come è risaputo ebbero molti della casata. Il figlio dell’ultimo Zar Nicola II era infatti malato di emofilia, malattia trasmessagli dal ramo materno.
Ma perlopiù l’eredità è psicologica: la consapevolezza delle proprie origini impedisce una vita normale. Pur non traendo alcun vantaggio dalla nobile casata d’origine (a parte qualche piccolo oggetto prezioso e modeste eredità) i discendenti si sentono, o sono, intrinsecamente maledetti.
Gli episodi da non perdere
Ogni episodio sta in piedi da solo, senza bisogno di nessuna giustificazione con il passato. Gli appassionati di Mad Men potranno ritrovare, oltre a John Slattery (Arrested Development) in un paio di puntate, anche una splendida Christina Hendricks (Rick and Morty) protagonista, assieme ad Isabelle Huppert (Law & Order SVU), del terzo episodio, che personalmente ho trovato così bello da giustificare l’intera serie.
La puntata si svolge in Austria, dove una regista eccentrica e mentalmente disturbata (la Huppert) cerca di girare un film proprio sui Romanoff. Il ruolo principale del difficile lungometraggio è affidato alla Hendricks che appena mette piede sul set avverte un’atmosfera tutt’altro che rassicurante. Lo spettatore viene coinvolto in una serie di inquietanti accadimenti, fuori e dentro la saga dei Romanoff, vissuta dal punto di vista degli attori.
Anche il settimo episodio, toccante e profondo, vede nel ruolo principale uno degli attori di Mad Men, Jay R. Ferguson (Ray Donovan). Questa volta ci troviamo in una Russia povera e ostile, dove due americani arrivano per adottare un bambino, ma gli eventi non si svolgono come previsto. Ci viene servita una fetta dell’esistenza brutale in cui vivono persone abili e intelligenti ma costrette in città senza speranze, dove l’unico sistema di arricchirsi o sopravvivere consiste nel trafficare con ‘lo straniero‘.
Perché guardare The Romanoffs
L’ultimo episodio è senz’altro un complesso tentativo narrativo che va a toccare la delicata tematica del transgender e vede come protagonista l’eccellente Hugh Skinner. Un vero colpo di scena per chiudere questa successione di intriganti storie personali, segnate spesso da antichi dolori.
Eccovi il mio consiglio: non fermatevi al primo episodio. Prendete questa serie come un libro di racconti di un grande autore che, dopo il suo primo romanzo classico di successo, ha voluto darsi alla sperimentazione drammaturgica, cogliendo di sorpresa il lettore. Un’opera, insomma, con cui essere un po’ indulgenti…
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