Posso consigliarvi di guardare una cosa, e al contempo di non guardarla? Sembra un paradosso ma è il paradosso di Calls, show distribuito da Apple TV+ a marzo 2021.
In questa originale e innovativa serie non c’è, infatti, pressoché niente da vedere. Eppure c’è molto da ascoltare, e ancora di più da godere, con un misto di sconcerto e partecipazione. Ma basta con gli enigmi.
CALLS: 9 puntate puramente vocali.
Calls, coproduzione tra Apple TV+ e Canal+, creata da Timothée Hochet a partire dal suo omonimo lavoro precedente e diretta da Fede Álvarez (anche sceneggiatore principale), tiene fede in modo perfetto al proprio titolo: al centro di ciascuna delle 9 brevi puntate (tra i 13 e i 20 minuti ciascuna) ci sono delle chiamate. Telefoniche, o radiofoniche.
Che ascoltiamo e basta. Senza vederne mai gli interlocutori. Perché non vediamo proprio niente! Solo delle grafiche minime, quasi da salvaschermo, che riproducono onde, crepitii, interferenze, oltre a riportare (cosa utile) i nomi di coloro che stanno parlando in ogni dato momento. Puro esercizio di stile? Non proprio. E la cosa si chiarisce appena si inizia.
La trama: tempi diversi e piani paralleli si intrecciano.
Dalla fine, o quasi: quando un misterioso evento cataclismatico sta per alterare profondamente, o distruggere, il mondo come lo conosciamo. Le puntate successive tornano indietro di qualche mese: raccontando micro-storie che, una alla volta, suggeriscono indizi coerenti con quanto abbiamo inizialmente percepito.
Uno sfasamento della nostra realtà, o l’incrocio innaturale con un piano dimensionale parallelo, sta producendo fenomeni inspiegabili: persone che si trovano a parlare con se stesse, dal futuro o dal passato; doppelgänger che si materializzano a distanze di migliaia di chilometri; ombre minacciose; eventi che si ripetono in loop; esistenze che cessano perché l’intervento su una linea temporale ne produce la necessaria cancellazione. “È stato l’Universo”, come titola un episodio centrale: la realtà del mondo ha bisogno di essere riequilibrata.
Podcast? Radiodramma? Semplicemente, una bella storia.
Il formato puramente vocale, così, consente di strutturare un racconto di ambizioni narrative enormi, potentemente metafisiche. Gestendo la materia in totale libertà, senza i problemi della sua (difficile, scivolosa) rappresentazione visiva. E, in un certo senso, chiedendoci una partecipazione ancora più attiva. Avendo reso inutile il nostro bombardatissimo senso primario, la vista, possiamo concentrarci su ciò che sentiamo, uditivamente ed emotivamente; e su ciò che immaginiamo.
Cosa che riesce anche grazie a una scrittura complessa ma insieme fascinosa e incalzante, una capacità notevole di lasciarci col fiato sospeso, e a un ottimo cast. Tra le voci coinvolte: Nick Jonas, Pedro Pascal (The Last of Us), Rosario Dawson, Aubrey Plaza (Parks and Recreation, The White Lotus 2)…
Alla fine, cos’è Calls? È un podcast, per dirla con termini d’oggi? O, guardando a modelli di ieri, un radiodramma? Un po’ e un po’, e nessuno dei due.
È, semplicemente, una storia: una delle più belle, angoscianti, struggenti di questi ultimi mesi.
Da vedere, ascoltare, immaginare – fate voi.
Giudizio: sorprendente.
Leggi anche: Solos, assoli di bravura per raccontare il futuro
Una versione precedente di questo articolo è stata pubblicata il 28 marzo 2021 su The Week, settimanale del gruppo editoriale Athesis.