A fine 2022 ha debuttato la prima attesissima stagione di 1899 – la nuova serie di Baran bo Odar e Jantje Friese. Ovvero i teutonici autori di quel gioiello assoluto targato Netflix che risponde al nome di Dark.
Coppia nella vita e nell’arte – regista lui, sceneggiatrice lei – così firmano ogni episodio, curandone quindi assieme ogni aspetto creativo, nella scrittura come nella direzione. E nella produzione, affidata alla loro Dark Ways, con l’orgoglio di aver realizzato con 1899 la serie tedesca fino ad ora più costosa (60 milioni di euro).
Dopo l’immenso successo planetario di Dark, la sfida posta da questa seconda uscita era senza dubbio assai ambiziosa. E questa prima stagione di 1899 (di cui abbiamo discusso qui nel podcast) non ha certo tradito le alte aspettative, presentando una storia che vira dall’horror alla fantascienza, senza mai tradire il mistero come cifra stilistica e narrativa su cui edificare tutti e otto gli episodi.
Questa storia, che avviene idealmente nell’anno del titolo, è ambientata principalmente su un transatlantico, il Cerberus, che dall’Europa porta a New York più di mille persone (1423 per l’esattezza) di diverse nazionalità ed estrazione sociale. La classe benestante usufruisce di eleganti cabine e di una sontuosa sala ristorante. La classe povera è relegata in un unico e grigio casermone, posto sotto il ponte della nave, ponte che comunque rimane loro inaccessibile.
Una torre di Babele tra Cerbero e Prometeo
Come per Dark, la coralità è un aspetto fondamentale del costrutto narrativo: assieme alla protagonista, la dottoressa inglese Maura Franklin (Emily Beecham), una delle prime studiose del cervello umano, vi sono un prete spagnolo in compagnia di un arrogante fratello; due novelli sposi francesi che sembrano odiarsi; una maitresse che ricatta una geisha, al seguito con la sua serva. Tra i più umili spicca una famiglia danese con una madre ossessionata da Dio, una figlia incinta e un figlio con al volto una vistosa cicatrice. Non mancano figure clandestine o apparse di colpo letteralmente dal nulla…
Le diverse nazionalità dei protagonisti implicano dialoghi per così dire multilingua. In tedesco, inglese, spagnolo, francese, danese, cinese. Sì da creare situazioni di reciproca incomprensione, o di necessità di comprendersi al di là della lingua parlata. La stupida soluzione del doppiaggio nostrano – che ha tradotto tutto in italiano – ha vanificato, se non ridicolizzato, questo preciso intento (ricordate l’analogo problema ne Il disprezzo di Godard?).
In più tutti questi personaggi sembrano nascondere un segreto, sembrano anzi fuggire da qualcosa di terribile nascosto nel loro passato. Sembrano soprattutto non essere quello che sembrano. Per questo l’improvviso cambio rotta della nave, che ha localizzato il Prometheus, altro transatlantico della stessa compagnia dato per disperso da mesi, nel bel mezzo della traversata, e l’idea di poter tornare indietro, genera il panico nella maggior parte dei passeggeri.
L’inquietudine domina, dal ritrovamento del Prometheus – ridotto ad una nave fantasma, a parte uno strano bambino – in poi, anche buona parte dell’equipaggio. A partire dal capitano del Cerberus, Eyk Larsen (Andreas Pietschmann, visto in Dark).
1899 tra Platone e Bowie, Hendrix e Goya
L’impazzire delle bussole è il classico prodromo – cui faranno seguito molti altri classici, dalla cantilena nella notte al cupo ticchettio – di un viaggio che diventa sempre più folle. Personale. Metafisico. Tutti i drammi dei protagonisti saranno infatti chiamati in causa. In un gioco ad incastro di ricordi e memorie, tra presente e passato. Il bambino che non proferisce parola ha con sé una piccola piramide nera, che custodisce gelosamente.
La piramide, assieme a scarabei apriporte, a botole che appaiono e scompaiono, e a suicidi di massa, compone un quadro di rimandi sempre più onirici ed ipnagogici.
Tra realtà e simulazione, passato e futuro, simboli sapienziali egizi e tecnologia steampunk, assurdi salti nello spazio tempo, drammi familiari ed epici ammutinamenti, si consuma lo spasmodico domino narrativo di 1899. Senza dimenticare il mito della caverna di Platone e i dipinti di Goya, o la raffigurazione del triangolo piramidale con una linea orizzontale al centro, disseminato un po’ ovunque tra scenografia e costumi.
E senza dimenticare l’anacronistico (nel senso del passato o del futuro?) rock in chiusura di ogni episodio: Deep Purple, Jimi Hendrix, Black Sabbath, David Bowie…
Tutto concorre, a livello estetico e al contempo significativo, a costruire un entusiasmante e coinvolgente rompicapo. Avendo fiducia che, passata la sbornia ipnotica, sarà rivelato l’arcano che sorregge tutta questa incontenibile vulcanicità creativa…
Con Dark, in fondo era stato così.
L’insolita purezza di un mistero a metà
Ma a differenza del precedente Dark, qui si ha la sensazione che i due autori abbiano voluto amplificare in modo estenuante l’utilizzo di simboli e paradossi. Con il nobile intento di creare un’atmosfera di puro mistero, ovvero un mistero non supportato da spiegazioni logiche di alcun tipo. Puro godimento estetico della visione filmica. Che non è certo poco (tra i precedenti Twin Peaks, capostipite del genere, Lost e ovviamente la stessa Dark).
Del resto, parafrasando quanto viene detto in 1899, la curiosità è pericolosa e l’uomo può scegliere di evitarla o affrontarla. Può scegliere cioè di vivere felice e spensierato oppure dolorosamente oppresso dal suo stesso desiderio di sapere.
Dopo l’incredibile epopea di Dark, la cui narrazione – piombata nel caos più assoluto – viene miracolosamente sciolta nel finale (e solo nel finale), non lasciando irrisolta nessuna questione, si poteva dare fiducia al duo Odar – Friese. Il finale della prima stagione di 1899 ci precipita nello stupore più radicale. Lasciandoci con una tremenda fame di continuare l’avventura. Di vedere – per dirla terra terra – dove diavolo andrà mai a parare…
E invece, ahimè, no. Netflix ha deciso di non produrre la seconda – e la terza – stagione, già ideate e sviluppate, pronte per essere sceneggiate e girate. Così il senso di questa prima va a farsi benedire (un po’ come è successo a Raised by Wolves, troncata dopo la seconda). I misteri rimangono irrisolti, tanto che ci sentiamo di consigliare cautela nell’approcciarvi alla visione di 1899. Siate consapevoli: gli affascinanti enigmi presentati sono destinati a restare tali.
Realizzando così, in fondo, l’ambizione di questa serie: inscenare un mistero in piena purezza, senza vincoli esplicativi…
Ascolta la nostra analisi nel podcast su 1899
1899 e il fascino indicibile di un viaggio senza fine | PODCAST
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