– Film, serie e documentari sull’11 settembre.
L’11 settembre 2001, l’attentato alle Torri Gemelle cambiò il mondo. Lo fermò, per un lungo momento: come una pausa collettiva, quel segno “pause” evocato dall’illustrazione del nostro art director Davide Librellotto. Per poi farlo accelerare, drammaticamente. E da allora la storia che viviamo è frammentata e complessa come una stagione di Lost: sospesa tra flashback, flashforward – e realtà alternative, sempre più insidiosamente presenti. Altrettanto impossibile da decifrare fino in fondo. Ma non altrettanto appagante.
Come tutti i grandi eventi, e come tutte le grandi narrazioni, l’11 settembre si è potentemente installato nelle nostre menti individuali – e in quella grande mente collettiva che è il nostro immaginario condiviso.
Qui racconteremo proprio questo: come la cultura pop del nostro tempo ha fatto i conti con questo evento epocale. Film, serie tv e documentari che hanno messo in scena l’11 settembre. Direttamente o indirettamente. Narrando com’è accaduto. O le ferite fisiche e psichiche che ha lasciato. O la paranoia che ha alimentato, tra cinema e piccolo schermo e realtà, in un cortocircuito tra finzione e mondo vero.
Partiamo dalla realtà: dalle immagini dell’11 settembre proposte dalla CNN in occasione del decennale. O dalla rapida cronologia costruita, sempre con l’ausilio di immagini, da Repubblica.
Anche se la narrazione più emozionante, tra quelle sintetiche, è forse quella proposta dalla TSA, l’ente americano che governa i trasporti: attraverso immagini ma anche e soprattutto spezzoni audio degli scambi tra aerei e torri di controllo. E poi le telefonate, strazianti, dei passeggeri sui voli dirottati, che cercavano di contattare familiari e amati. Eccola.
I first responders mediatici: South Park, The West Wing
Il trauma gigantesco dell’11 settembre impone a numerosissime produzioni di fare i conti con progetti aperti. Bisogna girare, o chiudere un film; o tornare in onda con una serie; e non è banale decidere come farlo. Il problema non riguarda solo le storie che hanno a che fare con lo spionaggio, o la politica, o il terrorismo. O le produzioni ambientate a New York City.
Il primo show ad affrontare l’ingombrante ombra delle Torri abbattute è The West Wing. La popolare serie che racconta la vita e le decisioni dello staff che assiste il presidente degli Stati Uniti, un vero punto di riferimento sul tema, deve cominciare la terza stagione. L’attentato causa un ritardo. Il creatore e sceneggiatore Aaron Sorkin decide di dar vita a un episodio speciale, esterno al corpus canonico della serie: “Isaac and Ishmael”. La puntata viene scritta e girata a tempo di record: va in onda il 3 ottobre 2001, meno di tre settimane dopo l’attacco.
La Casa Bianca viene messa in lockdown quando si scopre che un membro dello staff, Rakim Ali, condivide nel nome l’alias di un sospetto terrorista. La tensione monta, fino a che l’opportuno chiarimento aiuta a mettere in prospettiva gli accadimenti – e gli allarmi. Invero piuttosto verboso e incerto, in una serie straordinariamente ben scritta almeno nelle sue prime 4 stagioni (finché Sorkin è al timone), l’episodio è comunque prezioso per capire il clima che si respira. Tra paranoia, ricerca di giustizia anche sommaria, rabbia.
Poche settimane dopo è la volta di South Park: l’amata e graffiante dark comedy animata non può non fare i conti con la realtà. Così, il nono episodio della quinta stagione, il primo ad andare in onda dopo l’11 settembre, ruota attorno all’invasione americana dell’Afghanistan. Il bersaglio è chiarissimo fin dal titolo: “Osama bin Laden Has Farty Pants”, visibile integralmente qui (7 novembre 2001). La storia tratta principalmente delle conseguenze degli attacchi e dell’invasione americana dell’Afghanistan.
L’inizio della puntata è eloquente. I quattro ragazzi indossano maschere antigas per difendersi dall’antrace. Dagli attentati dell’11 settembre, tutto è cambiato a South Park. Tutti hanno paura dei terroristi, bandiere americane sono appese ovunque. La madre di Stan è diventata catatonica.
Lo show, ovviamente, tornerà più volte sul tema dell’11 settembre, e sulle sue conseguenze. Lo stesso farà, ma in maniera decisamente meno radicale, l’altrettanto longeva Family Guy (in Italia I Griffin), in onda dal 1999. E il cui creatore, Seth MacFarlane, avrebbe dovuto essere a bordo di uno degli aerei schiantati sulle Torri Gemelle…
Fare i conti con il vuoto: mostrare o rimuovere le Torri cadute?
Al cinema è stato invece il dramma di Spike Lee La 25a ora il primo film importante ad affrontare l’11 settembre, uscendo a fine 2002. E lo ha fatto con il coraggio di mostrare il vuoto lasciato dalle Torri abbattute. Dopo aver aperto con dei titoli di testa tutti costruiti sulle sculture di luce “Tribute in Light”, che rievocavano le perdute Torri.
Mentre quasi tutte le produzioni in corso si affannavano o a tagliare le riprese del paesaggio newyorchese con le Twin Towers, o addirittura a rimuovere digitalmente gli edifici precedentemente ripresi, in una sorta di cancellazione transtemporale da fantascienza distopica (da Spider-Man a Kissing Jessica Stein, per fare due esempi), il regista decise di includere la grande ferita di Ground Zero nella sua storia, profondamente urbana. Filmando così l’atmosfera di una città che cercava di venire a patti con la propria vulnerabilità. Un po’ come il protagonista, Monty Brogan (Edward Norton), che seguiamo nell’ultima giornata che potrà passare in libertà. Prima di iniziare a scontare sette anni di carcere.
Spike Lee scelse di ambientare una scena tra i due amici del protagonista (interpretati da Philip Seymour Hoffman e Barry Pepper) in un appartamento affacciato su Ground Zero. Davanti a una grande finestra, i due osservano i lavoratori che – nella notte illuminata da luci artificiali – continuano a cercare resti umani.
Ma la scelta di come fare i conti visivi di fronte alla portata di un attacco che ha sfregiato una delle più note skyline del mondo conosce esiti diversi negli anni. Ne cito tre. Due show assai popolari come Sex and the City e I Soprano eliminano il profilo delle Torri cadute dai titoli di testa. Ma la straordinaria epopea familiar-mafiosa, cui abbiamo dedicato un ampio speciale con articoli e podcast e che trovate qui, farà poi parlare più volte i propri personaggi, che vivono appena al di là del fiume, dell’attentato. E si può dire che il tono dello show diventerà più cupo, riflettendo la psicologia ferita di una nuova America.
Una terza serie farà qualcosa di opposto: nel 2008, nel magnifico finale della propria prima stagione, Fringe userà proprio la presenza del World Trade Center, ancora in piedi, per rendere evidente che la protagonista è entrata in una dimensione parallela (in cui, per inciso, a essere stata distrutta è la Casa Bianca).
Nello stesso anno de La 25a ora, il 2002, un’altra pellicola prova a raccontare la tragedia delle Torri Gemelle. Un’opera corale: 11 settembre 2001. Undici episodi, ognuno della durata simbolica di 11 minuti, 9 secondi e un fotogramma (11 09 01), diretti dai premi Oscar Danis Tanovic e Alejandro Gonzalez Inarritu insieme ad altri 9 importanti cineasti come Yusuf Shahin, Amos Gitai, Claude Lelouch, Mira Nair, Ken Loach, Shohei Imamura, Idrissa Ouedraogo, Samira Makhmalbaf e Sean Penn. Una coproduzione internazionale tra Regno Unito, Francia, Egitto, Giappone, Messico, Usa e Iran.
Prima e durante l’11 settembre: film e serie tv
Ci sono poi quei film e quelle serie tv che hanno provato a raccontare la tragedia dell’11 settembre nel suo compiersi; o a ricostruire cosa ha portato alla fatidica giornata. Ne vediamo tre.
United 93, film del 2006 di Paul Greengrass, è il miglior lungometraggio nel mostrare cosa è stato quel giorno. O almeno un frammento, una tessera del mosaico, di quella giornata terribile e storia. Raccontando con piglio diretto e quasi documentaristico la storia, vera, dei passeggeri dell’aereo del titolo: l’unico dei 4 dirottati dai terroristi di Al Qaeda a non riuscire a raggiungere il bersaglio, probabilmente il Parlamento o la Casa Bianca. E questo grazie alla ribellione dei passeggeri che costrinsero il terrorista che si trovava ai comandi a far precipitare il velivolo nei campi della Pennsylvania, prima di poter raggiungere il proprio obiettivo.
Nello stesso anno, con toni e modi assai diversi, un regista rutilante come Oliver Stone si cimenta sulla vicenda: raccontando, in World Trade Center, con Nicolas Cage, gli eventi dell’11 settembre dal punto di vista dei primi soccorritori. Cioè quel manipolo di eroici pompieri, poliziotti, medici e paramedici che entrarono nelle torri in fiamme per cercare di salvare più persone possibile. E pagando un tributo altissimo di vite: dei quasi 3000 morti di quel giorno, 411 erano appunto first responders, soccorritori.
In campo seriale, il miglior prodotto ad aver affrontato il tema è senza dubbio The Looming Tower (2018). La miniserie Hulu con protagonista un ottimo Jeff Daniels racconta con maestria gli eventi che hanno portato agli attacchi dell’11 settembre: fino all’episodio finale che ci porta proprio nel giorno dell’attentato e agli eventi immediatamente successivi. Il titolo (“la torre incombente”) allude ovviamente alle Torri Gemelle, che vediamo svettare orgogliose nella prima puntata: siamo alla fine degli anni ‘90. Due squadre, la I-49 dell’FBI e l’Alec Station della CIA, entrambe unità dell’antiterrorismo, monitorano le attività di Bin Laden: schiacciate dalle rivalità tra agenzie, falliranno nel prevedere l’11 settembre.
Come in una tragedia greca, conoscere i pericoli non basta a deviare il corso degli eventi: aggiunge solo un senso di angoscia profonda, che non ci abbandona. Frammenti delle vere deposizioni dei protagonisti reali della vicenda, nella parte finale della serie, ad attentati avvenuti, aumentano il turbamento. Poteva essere diverso, il futuro, se solo non si fossero frapposti, tra i nostri intenti e il nostro destino, vanità, ossessioni personali, e l’assordante rumore di fondo dell’umano agire?
Le ferite emotive dell’11 settembre: film e serie tv
Ma poi, naturalmente, c’è il dopo. Anzi, c’è soprattutto il dopo. Cioè il racconto, che ancora continua, delle conseguenze durature di quell’attacco. Che fece scoprire l’America vulnerabile, e portò un pezzo di guerra tra i palazzi e nel cuore della vita dell’Occidente.
E ci sono serie tv e film che raccontano le ferite dell’11 settembre: ferite psichiche, emotive, cicatrici che continuano a fare male. Anche qui, parliamo di tre produzioni tra le tante che si potrebbero citare.
La prima è Rescue me (2004-2011), commedia drammatica statunitense creata da Denis Leary e Peter Tolan, trasmessa per sette stagioni su FX. La serie mostra le vite professionali e personali dei vigili del fuoco di New York dopo gli attentati dell’11 settembre, durante i quali ben 343 pompieri hanno perso la vita.
Denis Leary, anche protagonista, interpreta il ruolo del pompiere Tommy Gavin, un personaggio la cui vita è caos, tormento, rabbia repressa. A distanza di anni non riesce ad accettare la perdita di Jimmy, suo cugino e migliore amico morto nell’attentato, che gli appare di frequente in forma allucinatoria.
Parliamo poi di un film, del 2007: Reign over me, con Adam Sandler e Don Cheadle. Sandler, in un raro e apprezzabilissimo ruolo drammatico, interpreta un uomo distrutto.
5 anni dopo la morte della moglie e delle figlie in uno degli aerei kamikaze dell’11 settembre 2001, l’ex dentista Charlie Fineman ha perso ogni contatto con la realtà. Non fa altro che giocare con il videogioco Shadow of the Colossus, tutto il giorno, collezionare dischi e ristrutturare senza posa la cucina. I genitori della defunta moglie vorrebbero aiutarlo, ma lui rifiuta anche solo di parlare con loro. Finché l’incontro casuale con il suo vecchio compagno di stanza dei tempi dell’università riapre forse uno spiraglio nel muro silenzioso di dolore e incomunicabilità che Charlie ha eretto attorno alla propria perdita. E che lo porta a rifugiarsi nell’ascolto ossessivo della canzone del titolo, che sentiamo per intero nella commovente coda del film.
Terza citazione per un altro film, questa volta del 2011, dieci anni dopo le Torri: Molto forte, incredibilmente vicino è l’adattamento di Stephen Daldry (suo il magnifico The Hours) del romanzo omonimo di Jonathan Safran Foer. La storia è quella di un bambino che ha perso il padre negli attacchi dell’11 settembre. L’uomo (Tom Hanks) gli proponeva sempre indovinelli e cacce al tesoro per aiutarlo a superare la sindrome di Asperger, di cui soffre. Il padre muore in una delle Torri, lasciandogli una serie di messaggi telefonici registrati in segreteria mentre il fuoco e il fumo si avvicinano. Un anno dopo, ritrovando per caso una chiave nascosta in un vaso, il piccolo Oskar si convince che l’amato genitore gli abbia lasciato gli indizi per un’ultima caccia al tesoro, e che se riuscirà a risolverla potrà in qualche modo non perdere la memoria del padre defunto.
Terrorismo e paranoia: il post 11 settembre tra film e serie tv
E veniamo a un capitolo decisivo di questa esplorazione: quello che ha a che fare con le conseguenze indirette ma non per questo meno reali, o pervasive, dell’attacco di vent’anni fa. Le vediamo in particolar modo svilupparsi attorno al dittico terrorismo e paranoia, e soprattutto in ambito televisivo – anche se non mancano come vedremo i film.
Il caso più clamoroso è certo, per un “fortuito” tempismo, quello di 24. La serie di spionaggio e azione di Fox, tutta incentrata su un agente dell’anti-terrorismo, esce a novembre 2001. È chiaro, scrittura e riprese erano state fatte prima dell’11 settembre. Ma le circostanze rendono fin da subito il thriller molto più attuale e rilevante di quanto avrebbe mai voluto essere.
Show entrato a buon diritto nell’immaginario popolare, 24 ha consacrato il suo protagonista, Kiefer Sutherland, come uno dei volti più riconoscibili e amati. E il suo personaggio, l’agente dell’antiterrorismo Jack Bauer, come un’icona del nuovo millennio. Ogni stagione della serie è incentrata su una singola giornata (raccontandola di fatto in tempo reale, 24 episodi per 24 ore di tempo narrativo), durante la quale l’agente e il suo team dovranno sventare una minaccia terroristica devastante contro gli Stati Uniti. Usando ogni mezzo, lecito o illecito. Tortura compresa. E proprio al tema della tortura nell’America post 11 settembre è dedicato un film bello e problematico, The Report, del 2019.
In ogni caso, 24 di fatto accompagna il doppio mandato presidenziale di Bush (con le sue guerre e le sue azioni anche radicali giustificate all’epoca proprio con la necessità di contrastare fermamente il terrorismo). E, con la sua filosofia da “Il fine giustifica i mezzi”, diventa quasi un manifesto conservatore sulla necessità di difendersi da pericoli che da ovunque minacciano la Nazione. Come abbiamo raccontato anche in questo articolo dedicato allo show.
Uno sfondo paranoico che ha avuto la sua consacrazione nelle otto stagioni di Homeland (2011-2020). Show di ambientazione spionistica e sempre immerso nelle angosce di una minaccia terroristica permanente in cui non c’è soluzione di continuità tra i nemici interni o esterni. La serie non a caso fin dall’inizio tratta con decisione il tema della difficoltà a discernere la realtà dalle sue sovrapposizioni paranoiche. Non è solo un ostacolo narrativo: è esattamente ciò che accade nel mondo “vero”, tra fallimenti dell’intelligence, set alternativi di fatti, esplosiva influenza dei social media, moltiplicazione delle fake news, tribalizzazione della società e della politica.
Ma potremmo citare, sempre sul fronte cospirazionista, serie di minor successo ma di ancora più chiara matrice ideologica. Fin dal titolo. Come l’israeliana False Flag (2015) e la britannica Deep State (2018). O il bel film di Kathryn Bigelow Zero Dark Thirty (2012), che racconta la caccia e infine l’eliminazione di Bin Laden, l’architetto dell’11 settembre.
O, di nuovo con Kiefer Sutherland come protagonista, uno show decisamente paranoico come Designated Survivor (2016-2019). Qui, il complotto che ha decapitato il governo USA nelle primissime scene deriva tutto dalle trame intricate di una politica americana paludosa.
La carrellata di film e serie tv che raccontano il post 11 settembre non può non menzionare rapidamente un paio di pellicole che spettacolarizzano in modo particolarmente fracassone il tema. Il retroterra politico e istituzionale è diventato nel racconto così mefitico (ricordate il “drain the swamp” trumpiano?) che il Presidente deve rimboccarsi le maniche e, addirittura, prendere le armi lui stesso. La saga di Attacco al Potere inizia nel 2013, per coincidenza forse rivelatrice lo stesso anno di Sotto assedio – White House Down, e la premessa è la stessa per entrambi i film. La Casa Bianca viene invasa da terroristi che hanno alle spalle loschissimi complotti tutti interni a una politica statunitense ormai sempre più dark, come abbiamo raccontato in questa ampia riflessione. E, in ambo i casi, un poliziotto onesto dovrà aiutare il Presidente, chiamato a sporcarsi le mani in prima persona per rimettere in carreggiata il Paese.
Documentari sull’11 settembre
Chiudiamo, ed è giusto così, con un ritorno alla realtà. E quindi alla forma del documentario. Accanto a serie tv e film, infatti, sono molti i documentari ad essersi cimentati con lo spettro dell’11 settembre. Anzi, sono molto di più dei propri corrispettivi di finzione.
Prima menzione per 9/11: The Falling Man, che ha anche il vantaggio di poter essere visionato in rete al momento. Lo trovate qui, diviso in alcune parti. Si tratta di un documentario prodotto e trasmesso dalla britannica Channel Four nel 2006, ma diretto dal filmmaker americano Henry Singer. È incentrato sulla storia della celeberrima foto con lo stesso titolo, su cui torneremo fra poco in chiusura.
Prima ancora, però, nel 2004, Michael Moore firma Fahrenheit 9/11: un film-documentario che rilegge l’11 settembre in un durissimo j’accuse politico, in particolare contro l’amministrazione di George W. Bush. Il titolo del film si rifà a quello del romanzo di Ray Bradbury Fahrenheit 451, da cui François Truffaut trasse l’omonimo film. Chiarissima la tagline: “The temperature where freedom burns”, la temperatura a cui la libertà brucia. Fahrenheit 9/11 fin da subito divide l’opinione pubblica. Molti lo criticano ferocemente, accusandolo di faziosità e distorsione dei fatti. Ma vince la Palma d’Oro a Cannes e diventa il documentario di maggior successo della storia, con incassi impensabili per il genere.
Più recenti sono poi alcuni altri prodotti, tutti usciti nel 2021 per il ventennale dell’attentato alle Torri Gemelle.
Il primo è 9/11: Inside the President’s War Room (Apple TV+). Il documentario è molto interessante perché decide di concentrarsi sulle ore immediatamente successive allo schianto dei due aerei. Mostrandoci, tramite riprese d’epoca e nuove interviste anche a figure centrali del governo americano di allora, la reazione del presidente George W. Bush e del suo staff. In poche parole: sembrano sempre gli ultimi a sapere qualcosa, e passano la giornata a inseguire la propria ombra, chiaramente colti alla sprovvista e incerti sul da farsi. Una manifestazione di impreparazione che dovrebbe dare dei dubbi anche al complottista più radicale.
Gli eventi dell’11 settembre sono al centro anche di un documentario di National Geographic: 9/11: One Day in America, serie in 6 parti che si propone di raccontare “la storia completa attraverso gli occhi di coloro che vi hanno assistito, sofferto e sopravvissuto”.
Un documentario che prende l’11 settembre come punto di partenza, e anch’esso appena pubblicato, è la serie Netflix in cinque parti Turning Point: 9/11 and the War on Terror. La scelta qui è però molto diversa. Più che non sulla giornata in sé, la serie si concentra sulla successiva Guerra al Terrore: raccontando in particolare la costosissima avventura bellica dell’America in Afghanistan, durata 20 anni e appena conclusasi in modo non proprio entusiasmante.
The Falling Man: ieri, e 20 anni dopo
Ma forse niente simboleggia quella giornata, catastrofica e potentissima, scolpita nelle nostri menti individuali e nell’immaginario collettivo, come la semplice e quieta – e insieme devastante – sequenza di fotografie nota appunto come “The Falling Man”, che potete vedere qui e che già citavamo. La realizzò il fotografo Richard Drew, in quella fatidica giornata. E ritrae la caduta di una delle molte persone che, intrappolate dal fuoco ai piani alti dei grattacieli, cercarono un’impossibile salvezza precipitandosi a terra.
Sono immagini eccezionali ancora oggi. E non solo per la loro forza evocativa e iconica. Ma anche perché sono le uniche a mostrare la morte di alcune delle vittime nel suo compiersi. E poi perché, con una beffarda e crudele ironia della storia, richiamano drammaticamente le agghiaccianti sequenze che abbiamo visto in un tempo più recente. Quelle degli afgani che, pur di sfuggire al ritorno dei Talebani, hanno cercato una fuga impossibile aggrappati agli aerei in partenza dal caos dell’aeroporto di Kabul.
Nuovo esempio della forza dell’intreccio, sempre più inestricabile, tra realtà e finzione. A 20 anni di distanza, dopo infiniti film, serie tv, documentari che hanno cercato di raccontare la storia indicibile dell’11 settembre, si torna allo stesso punto.
All’immagine di un uomo che si getta nel vuoto. Non per il sogno di poter volare, ma aggrappato all’ultima cosa che di fronte alla morte ancora gli è rimasta. La speranza, contro la stessa realtà.
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11 settembre: un racconto epocale, tra film e serie tv | PODCAST
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